La bioraffineria di Porto Torres un possibile modello per Gela - QdS

La bioraffineria di Porto Torres un possibile modello per Gela

Gherardo Fabretti

La bioraffineria di Porto Torres un possibile modello per Gela

mercoledì 20 Aprile 2016

Nell’impianto sardo la joint venture Matrica mira alla realizzazione di prodotti derivati dai cardi selvatici. A tale riconversione lavorano anche gli esperti di aridocoltura del Cnr etneo

Si chiamano Eni Versalis e Novamont ma si legge Matrìca, mamma in dialetto sardo: è questo il nome della joint venture tutta italiana tra il gruppo petrolchimico e il leader nel mercato delle bioplastiche. Una unione nata per riconvertire lo stabilimento sardo di Porto Torres in una bioraffineria per la realizzazione di prodotti derivati da materie prime vegetali, cardi selvatici in particolare.
 
Nonostante le ombre accennate dalla Eni su una possibile interruzione dei lavori, i lavori dovrebbero compiersi entro il 2017, coinvolgendo un’area di 27 ettari per una produzione di 350 mila tonnellate annue di bioprodotti. In Nurra, vertice nord-occidentale della Sardegna, sede del polo di Porto Torres il Cynara cardunculus, questo il nome scientifico del cardo selvatico, alligna spontaneo, punteggiando chilometri di terreno; e per quanto poco appariscente, i suoi impieghi sono innumerevoli. Ne è nata una iniziativa ambiziosa, all’interno della quale, Catania, attraverso la sede del Cnr, svolge un ruolo di primo piano: è qui, infatti, che si trovano i maggiori esperti di aridocoltura del cardo. Conosciuta ai più come alimento umano, foraggio per animali e base per i cagli vegetali di alcuni formaggi, questa pianta è una fonte inesauribile di rivelazioni.
 
Lo racconta  Antonino Raccuia, responsabile catanese dell’Istituto per i sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo del Cnr e consulente scientifico per l’ambito agronomico e della bio-sostenibilità del progetto Matrica: “dalla pianta del cardo è possibile produrre biocarburanti, lubrificanti, oli idraulici, plastificanti atossici e oli bioestensori per l’industria degli pneumatici”. Ma non solo: “l’acido azelaico estratto è tra i costituenti di base delle bioplastiche e il pelargonico funge da erbicida di origine naturale”. Non mancano gli impieghi nel campi della nutraceutica, per la produzione di alimenti per celiaci e diabetici e ad aumentare il valore dell’investimento, la durata delle piante (dai sei ai sette anni) e la scarsa cura di cui necessitano, abituate a terreni siccitosi, spesso spontaee in terreni storicamente incolti. Un rapporto, quello tra cardo e terreno, più importante di quanto possa sembrare: “questa pianta è una notevole accumulatrice di metalli pesanti”. Prodotti i genotipi più adatti, accumulati i metalli lungo il ciclo di crescita dell’arbusto “è sufficiente eliminarli e stoccare le ceneri come rifiuti speciali”. L’attitudine fitodepurativa del cardo, spiega Raccuia, deriva “dall’abbondante disponibilità nel proprio sistema di molecole antagoniste dei metalli pesanti, cadmio e arsenico in particolare”. Una resilienza importante, e non solo per il prevedibile impiego nella bonifica di campi inquinati: “a Catania io e il mio team lavoriamo sui possibili impieghi antitumorali delle molecole, e in particolare per la lotta al mieloma multiplo e ad alcuni tipi di leucemia, spingendo le piante a iperprodurre gli elementi di cui necessitiamo per lo studio e la sperimentazione di futuri farmaci”. Una ricerca dai risultati incoraggianti, quasi totalmente finanziata da contributori privati, stipendi dei giovani ricercatori del team inclusi.
L’Italia, insomma, tenta di progredire verso l’industria verde, e allo stesso tempo il verde costituisce sempre più una risorsa preziosa per i settori più disparati, ricerca medica inclusa. In questo cammino la città etnea gioca da protagonista di valore, ospitando eccellenze e contribuendo allo sviluppo ecologico della tecnologia. Un genere di sviluppo in cui molti sperano anche qui in Sicilia, magari con la riconversione del colossale polo petrolchimico gelese, ormai fermo da due anni e il cui pesante impatto sull’ambiente circostante è noto da tempo. Già annunciata da Eni, la riconversione degli impianti dello stabilimento di Gela per la produzione di biocarburanti di terza generazione dovrebbe ricalcare quello della raffineria di Venezia Porto Marghera; in realtà, per ora, sono stati solo sanificati alcuni settori, e il quadro non sembra incoraggiare evoluzioni a breve termine. Eppure le colture di cardo non sfigurerebbero nella piana gelese; nuove assunzioni e una forte spinta economica all’isola sarebbero consequenziali. Gli esperti del settore, poi, si troverebbero a poche centinaia di chilometri. Ciò che si sta tentando nella Sardegna di Porto Torres varrà in futuro anche per la Sicilia? A Eni l’ardua sentenza.

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