In questo modo le attività funzionano, si raggiungono gli obiettivi, i conti economici sono in attivo, si conseguono utili su cui vi è l’obbligatoria tassazione.
Tutto bene? No, di certo. Perché vi sono aziende che vanno male o per cattiva conduzione o perché fuori mercato, non avendo previsto per tempo le relative innovazioni. Il meccanismo è chiaro, ha funzionato e funziona, anche se suscettibile di miglioramenti sul piano dell’efficienza e del conseguimento di risultati, i quali sono gli unici a misurare la qualità dei dirigenti.
Di questo scenario non vi è traccia nella Pubblica amministrazione, né statale, né regionale, né locale. Ciò perché si sconoscono i due valori fondamentali del lavoro: il merito e la responsabilità. Il merito presuppone che siano scelti i più capaci, i più preparati professionalmente per assumere responsabilità; d’altra parte, una volta assunti, debbono essere premiati i risultati e sanzionati quando essi non si conseguono.
A monte di quanto precede devono essere stilati i Piani aziendali che stabiliscano obiettivi, tempi e modalità per conseguirli.
Fissati i criteri delle attività e valutati i risultati, il ceto politico che governa la burocrazia pubblica dovrebbe pervenire a conclusione: premiare o sanzionare i dirigenti. Ma mentre i premi vengono elargiti con munificenza, le sanzioni non vengono mai comminate neanche nei confronti dei dirigenti condannati, che dovrebbero essere perciò espulsi dalla Pa.
In Italia, in questi settant’anni, non si è mai visto un dirigente licenziato per inefficienza o per non avere conseguito i risultati previsti. Cosicché ognuno resta al proprio posto, a prescindere.
Ora occorre cambiare musica, eliminare le stonature, la mancanza di ritmo e di sincronia. Un’orchestra, ove tutti i componenti non suonino intonati e a ritmo, non funziona e tutti se ne accorgono, prendendo provvedimenti.
L’orchestra pubblica italiana non suona in sincronia, non suona a tempo, tutti se ne accorgono, ma nulla si fa per rimettere in carreggiata un’orchestra sfasciata.
Il governo sta provando a rimettere a posto la Pubblica amministrazione italiana. Ha fatto approvare la legge Madia (124/2015) che, però, per essere attuata ha bisogno di decine di decreti, legislativi, ministeriali, interministeriali e dirigenziali, circolari e altri strumenti. Come dire che gli effetti si vedranno tra dieci anni.
Perché questa lentezza per fare una riforma essenziale come quella della Pa? La risposta è solare: al tacchino non piace il Natale. All’attuale burocrazia non piace essere riformata, perché perderebbe tutti i privilegi di cui gode e ai quali non intende rinunciare.
Solo se ci fosse una Classe politica senza scheletri negli armadi, competente e culturalmente forte, potrebbe essere effettuata la necessaria selezione all’interno dei quattro milioni di dipendenti pubblici diretti e indiretti, per fare emergere quelli bravi, che ci sono, cui affidare i posti apicali, e cacciare fannulloni e traffichini, risolvendo i contrasti come la legge consente di fare.
Ma purtroppo questa Classe politica qualificata non c’è e, quindi, di demagogia in demagogia, di rinvio in rinvio, la malattia cronica dell’inefficienza pubblica non viene curata.
L’opinione pubblica, vera e forte, deve intervenire con ogni mezzo per ribaltare questa disastrosa situazione. Oppure si perirà di inefficienza.