Verifiche fiscali e mancata ottemperanza a richieste di informazioni: le sanzioni - QdS

Verifiche fiscali e mancata ottemperanza a richieste di informazioni: le sanzioni

Salvatore Forastieri

Verifiche fiscali e mancata ottemperanza a richieste di informazioni: le sanzioni

mercoledì 27 Aprile 2016

È necessario adempiere tempestivamente ai questionari inviati da Guardia di Finanza o uffici fiscali: il ritardo può costare carissimo. In alcuni casi previsto un accertamento induttivo e gli invii successivi non vengono presi in considerazione

PALERMO – Stiamo attenti. In caso di richiesta di documentazione o di altre informazioni da parte degli uffici fiscali o della Guardia di Finanza, fatta in occasione dell’inizio di una verifica fiscale oppure attraverso la notifica di un apposito questionario, è assolutamente necessario adempiere tempestivamente.
Il ritardo può costare carissimo perchè quanto non messo a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria nei termini previsti potrebbe non essere preso in considerazione e potrebbe comportare, addirittura, un accertamento induttivo.
Ricordiamo che in materia di IVA ed in materia di imposte dirette vigono alcune disposizioni (ultimo comma dell’art.51 del D.P.R. 633/72  e 7° comma dell’art.52 dello stesso Decreto, in materia di IVA, e quarto e quinto comma dell’art. 32 del D.P.R. 600/73, in materia di imposte sui redditi) che prevedono il divieto, per l’Ufficio e per le Commissioni Tributarie, di prendere in considerazione i documenti richiesti al contribuente durante una verifica nei locali aziendali, oppure richiesti tramite apposito questionario, e non esibiti tempestivamente.
Si tratta, come è evidente, di una sanzione indiretta, che nel caso di richieste tramite questionari si aggiunge a quella espressamente prevista per l’inottemperanza all’invito dell’Ufficio, che vuole colpire ogni atteggiamento volto ad ostacolare l’attività di controllo dell’Amministrazione Finanziaria.
Praticamente, In questi casi, così come risulta dalla semplice lettura della legge, la documentazione non esibita entro i termini previsti è come se non ci fosse mai stata, potendosi legittimamente presumere che quella stessa documentazione sia stata costruita successivamente (dopo l’invito) solo per evitare le negative conseguenze dell’accertamento. Si pensi, per esempio, alla mancata immediata esibizione ai funzionari verificatori del registro fatture emesse, ritardo avente proprio lo scopo di potere provvedere all’annotazione delle fatture che, se non fosse arrivato il controllo, sarebbero state occultate con la conseguente evasione dell’imposta.
Non sempre, però, il ritardo di esibizione è di natura dolosa, per cui spesso la citata sanzione indiretta, quella dalla inutilizzabilità della documentazione, in certi casi risulta eccessivamente penalizzante.
Nel caso di questionari, per esempio,  può capitare che il contribuente, anche per un motivo non dipendente dalla sua volontà, faccia scadere inutilmente  il termine concessogli per trasmettere all’Ufficio quanto richiesto. In questo caso, applicando rigidamente la norma, quel contribuente non può mai più avere la possibilità di dimostrare di non essere evasore, anche quando la documentazione esistente e non tempestivamente esibita lo dimostri in maniera inequivocabile, circostanza che rappresenta un chiaro esempio di giustizia formale che si discosta dal quella sostanziale ed una violazione del principio della tassazione secondo la capacità contributiva dei cittadini.
Per la verità, in questo caso, la stessa legge, l’art.32, 5° comma, DPR 600/73, prevede per il contribuente la possibilità di produrre al Giudice tributario, quindi dopo avere instaurato il contenzioso, quanto originariamente non esibito, ma a condizione che dimostri che l’omissione non è dipesa dalla sua volontà, una dimostrazione, però, nella maggior parte dei casi estremamente difficile.
In sede di verifica, invece, può capitare che il contribuente, al momento dell’accesso dei verbalizzanti, non ricordi l’esistenza di qualche libro o documento e, per questo motivo, non lo consegna ai verificatori che iniziano l’attività di controllo. 
Accade quindi, come si può facilmente vedere, che se da un lato la sanzione delle inutilizzabilità della documentazione tardivamente esibita può essere giustificata in linea di principio, dall’altro esistono tanti altri motivi che rendono spesso questa norma ingiusta e oggetto di contenzioso.
Ed invero sulla questione non solo le Commissioni Tributarie di primo e di secondo grado hanno parecchio lavoro, ma anche la Corte di Cassazione ed addirittura anche la Corte Costituzionale hanno dovuto interessarsi del problema.
Con riguardo alle conseguenze della mancata ottemperanza alla richiesta di documentazione attraverso un questionario, a norma del 4° comma dell’articolo 32 del D.P.R. 600/1973, la Cassazione, con sentenza n. 25334 del 28 novembre 2014, ha ristretto la portata applicativa della sanzione indiretta, affermando che la sanzione opera solo quando l’Ufficio indica con precisione nel questionario i dati ed i documenti che vuole conoscere ed evidenzia, contemporaneamente, le conseguenze della eventuale inottemperanza.
Anche la Corte Costituzionale, come si diceva prima, è stata investita della questione. Più in particolare, con Sentenza n. 26 del 28 gennaio 2015, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale avanzata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Como, ritenendo che la norma in argomento non violi il diritto di difesa, consentendo – comunque – al contribuente di depositare in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.
Dalle citate pronunce giurisdizionali, compresa quella della Corte Costituzionale, quindi, emergono due principi. Il primo (affermato dalla Cassazione) secondo il quale l’ufficio può disattendere i documenti non esibiti tempestivamente a seguito della notifica di un apposito questionario solo quando detti documenti risultano espressamente richiesti.
Il secondo (quello della Corte Costituzionale), al quale si è uniformato recentemente la Cassazione con sentenza n. 5734 del 23 marzo 2016, secondo il quale i documenti regolarmente richiesti con questionario e non esibiti entro il termine previsto non possono essere successivamente prodotti in sede amministrativa. Possono essere esibiti solo in sede contenziosa, in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, circostanza, quest’ultima, che, secondo la Consulta, non solo non consente di ipotizzare la violazione del principio di capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione, ma non limita nemmeno il diritto alla difesa del contribuente e, conseguentemente, non è passibile di alcuna cesura costituzionale. Quindi, dopo l’atto introduttivo del giudizio, pare che non ci sia più nulla da fare, anche quando le prove fornite, in ritardo, son assolutamente incontestabili e sarebbero in grado, se prese in esame, di dimostrare la regolarità sostanziale della posizione fiscale del contribuente.
Con riguardo alle conseguenze della mancata ottemperanza alla richiesta esibizione della documentazione all’inizio di una verifica fiscale, i Giudici di legittimità, con Sentenza n. 24503 depositata il 16/11/2015, richiamando il contenuto di un’altra sentenza della stessa Corte, a Sezioni Unite, la n. 45 del 2000, hanno affermato che il “rifiuto” di esibizione, quello che dà luogo alla sanzione dell’inutilizzabilità di quanto non consegnato ai verbalizzanti al momento dell’accesso, “implica la coscienza e la volontà dell’azione intesa ad impedire l’esibizione dei documenti”.
In pratica, laddove non esiste un rifiuto di esibizione “doloso”, quello che preclude la successiva produzione documentale, l’adempimento tardivo non comporta tutte le conseguenze che sono connesse alla inattendibilità, tra cui, principalmente, l’accertamento induttivo.
Insomma, come si può vedere, sono disposizioni molto pericolose, le quali, probabilmente, meriterebbero di essere riviste dal Legislatore, possibilmente al fine di non escludere che le “nuove prove”, anche se fornite in ritardo, ma sulle quali esiste la dimostrazione della certezza, possano fare “riaprire il processo” (inteso come procedimento amministrativo di autotutela) ed evitare così che circostanze negative (quelle che magari hanno impedito l’esibizione tempestiva o la mancata proposizione del ricorso) possano comportare un prelievo fiscale assolutamente non corrispondente a quello al quale avrebbe dato luogo l’ufficio se solo avesse tenuto conto degli elementi forniti oltre i termini previsti.
Forse sarebbe opportuno avere sempre presente un importantissimo principio affermato dallo Statuto dei Diritti del Contribuente, stabilito dall’articolo 10 della legge 212/2000 ed intitolato “Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente”.

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