Arance e gamberi per proteggere la frutta - QdS

Arance e gamberi per proteggere la frutta

Gherardo Fabretti

Arance e gamberi per proteggere la frutta

sabato 07 Maggio 2016

Il Cnr di Catania ha utilizzato le bucce delle prime e i gusci dei secondi per realizzare una speciale pellicola protettiva. Il liquido ricavato è in grado di mantenere intatto un fico d’India sbucciato per 9 giorni e un carciofo per 16

CATANIA – “Non parliamo di rifiuti, parliamo di sottoprodotti; anzi, parliamo di co-prodotti”. Sono importanti le parole per il dottor Antonino Raccuia, docente di Genetica Molecolare Vegetale all’Università di Catania, come le ricerche che svolge, assieme al suo team, per l’istituto per i sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo del CNR.
Una delle più interessanti è certamente quella sulla bio-pellicola alimentare, una copertura naturale ed edibile per la conservazione prolungata di prodotti deperibili da destinare alla grande distribuzione organizzata. Numerose le ragioni di una tale ricerca: dalla sostenibilità ambientale all’attenzione ai temi dell’ecologia e della biodegradabilità delle confezioni, argomenti a cui i reparti marketing delle imprese dedicano sempre maggiore attenzione. Una ricerca fruttifera, già condotta da altri istituti italiani ed europei, come a Digione, concentrata sulla conservazione dei prodotti caseari, a Udine, dove sono i prodotti da forno da scaffale ad essere esaminati, o a Lecce, dove protagoniste sono le merendine da banco e la verdura.
La pellicola studiata a Catania dal team del CNR si ricava dalla trasformazione delle bucce di arancia e dei gusci di gambero, due tra i prodotti più comuni della regione. Non di una pellicola in senso canonico si tratta, ma di un vero e proprio liquido dove immergere gli alimenti da proteggere: le arance, ricche di pectina, e i gamberi, il cui guscio è quasi interamente composto di chitosano, una volta triturati e lavorati, vengono versati in forma fluida entro un recipiente. Ricoperti dalla nuova, invisibile, corazza, i prodotti saranno protetti e igienicamente garantiti.
“È una ottima soluzione, soprattutto per il mercato del biologico” – dice Raccuia – “e permette di esportare prodotti alimentari normalmente difficili da collocare, come i fichi d’india e i carciofi, apprezzati all’estero ma considerati fastidiosi da pulire”.
La bio-pellicola, infatti, trova particolare applicazione nel settore della frutta e verdura di IV gamma, quella, per intenderci, destinata al banco dei freschi pronti da consumare. Già puliti, e protetti dall’invisibile film commestibile, anche prodotti notoriamente laboriosi da mondare finiranno per godere di maggiore interesse, e avranno tutto il tempo di giungere sulle tavole più lontane, dove ancora soffrono di scarsa considerazione.
“Un carciofo Apollo violetto di Provenza, già lavorato e opportunamente trattato con la pellicola, adesso ha una durata complessiva di sedici giorni; un fico d’India privato della buccia rimane intatto fino a nove giorni”, continua Raccuia. Frutta e verdura “pratica”, messa al riparo da ossidazioni e funghi, pur senza essere privata della possibilità di traspirare, e dunque senza inibire il proprio naturale metabolismo. E se due anni fa, sul numero di aprile del Journal of Food Science, è stato pubblicato uno studio condotto presso il College of Agricultural Sciences della Pennsylvania State University che ha dimostrato l’efficacia antimicrobica di film a base di olii essenziali di rosmarino e origano sulla carne cruda, il CNR catanese non è stato da meno, garantendo uguale funzione alla propria creazione su frutta e verdura.
 

 
Nota stonata: i costi di realizzazione
 
Tutto sembrerebbe a favore della nuova pellicola, ma una nota stonata c’è: i costi di realizzazione, superiori a quelli delle pellicole classiche. Eppure, nonostante la recente denuncia di Coldiretti Catania sui vistosi cali di produzione di arance, clementine e limoni (questi ultimi addirittura dimezzati), la materia prima agrumicola non mancherebbe. E nemmeno l’interesse delle aziende private locali, come la SOAL, azienda agricola in regime di biologico, così pronta a scommettere sulla squadra di Raccuia da costruire un impianto pilota nel proprio stabilimento di Biancavilla: trasformare e impermeabilizzare i propri variopinti bastardoni, varietà di fichi d’India tipici del comprensorio etneo, già sbucciati e pronti alla vendita in comode vaschette per loro è già realtà. I destinatari? Italia ed Europa del Nord, sui banchi dei supermercati di eccellenza a elevato target.
E mentre già si ipotizza un futuro abbattimento delle spese di produzione, già adesso, grazie a bucce d’arancia e gusci di gambero un nuovo pezzo della Sicilia alimentare sembra affacciarsi sui mercati più redditizi. Anche di questo si è parlato il 21 aprile a Cremona, in occasione del 6° Food BioEnergy, evento dedicato alle opportunità della bioeconomia. E Catania, sicuramente, ha avuto molto da raccontare.

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