Capoluoghi campioni d’inefficienza - QdS

Capoluoghi campioni d’inefficienza

Francesco Torre

Capoluoghi campioni d’inefficienza

giovedì 26 Novembre 2009

Enti locali. Macchina amministrativa la gestione e i risultati.
Paragone. Le tre aree metropolitane siciliane comparate con città del Nord simili per numero di abitanti: Genova, Venezia e Verona. Due modi assai diversi di spendere le risorse pubbliche.
Dipendenti. I Comuni siciliani presi in esame hanno in organico circa 3000 dipendenti in più rispetto ai centri del Settentrione, dove i servizi resi ai cittadini sono di gran lunga migliori.

PALERMO – Competitivi? Tutt’altro. Efficienti? Per niente. Spendaccioni? Pure troppo.
Una conclusione amara, quella che emerge dal confronto fra i bilanci dei tre Comuni metropolitani della Sicilia (Palermo, Catania e Messina) e quelli di città settentrionali con lo stesso numero di abitanti (Genova, Venezia e Verona).
La prossima volta che sentirete un sindaco lamentarsi per il pessimo stato di salute delle casse comunali, non credetegli. Come dimostrano i dati, le risorse ci sono, ma vengono amministrate male: troppo personale, investimenti con il contagocce e scarsa capacità di riscuotere i tributi sono i tre mali che attanagliano i nostri Comuni.
 
Si ricorre a mutui e prestiti perché incapaci di introitare in altro modo risorse, e si finisce per indebitare gli enti pubblici e garantire servizi di serie B. Questa l’analisi impietosa, atto d’accusa nei confronti della classe politica e dirigenziale isolana, che deriva dall’osservazione dei rendiconti 2008 dei tre maggiori comuni capoluogo siciliani (Messina, Catania e Palermo) messi a confronto con gli omologhi conti consuntivi delle cosiddette “Tre gemelle del Nord” (Verona, Venezia e Genova). E i numeri non sbagliano.
Due milioni e 346 mila euro, questo è quanto costa in totale far funzionare la complessa macchina dei tre enti pubblici siciliani. Una cifra troppo alta? No, perché i Comuni del Nord che per estensione ed esigenze del territorio, densità e numero di abitanti sono assimilabili a quelli nostrani spendono quasi 400 milioni in più. Si potrebbe obiettare: ma almeno offrono ai cittadini servizi di serie A, per esempio nel settore dei trasporti, così come in quello della raccolta dei rifiuti e della manutenzione degli spazi verdi, come dimostrano tutte le classifiche sulla qualità della vita, tra cui Ecosistema 2009, graduatoria recentemente apparsa sul Sole 24 Ore che piazza i nostri comuni agli ultimi posti in Italia per la quasi totalità dei servizi offerti dai comuni. Obiezione accettata, dunque. Ma c’è di più. Perché pressoché tutta la cifra che Verona, Venezia e Genova spendono in più rispetto alle tre “big cities” siciliane, la investono in opere pubbliche e infrastrutture, laddove nei nostri comuni le cosiddette “spese per investimenti” sono una delle ultime voci di bilancio.
Le differenze? Abissali. Mentre Messina spende per gli investimenti 19 milioni di euro l’anno, Verona ne spende 58, mentre Catania investe addirittura meno di 19 milioni, Venezia mette sul tavolo per l’ammodernamento della città quasi sette volte tanto, 133 milioni. Pure Palermo, che è pure l’unica delle siciliane ad investire più denari, 98 milioni di euro, nel confronto con Genova viene stracciata: quest’ultima si lancia direttamente nella competizione nazionale ed internazionale con 247 milioni di investimenti, pari a circa il 22% del proprio bilancio totale, laddove le percentuali di investimento delle siciliane sono 4% (Messina), 2% (Catania) e 10% (Palermo). Morale della favola? I Comuni del Nord si proiettano nel futuro, cercando di risolvere i problemi e creando le condizioni economiche e sociali per essere competitivi con le altre realtà locali del paese e dell’Europa. I nostri Comuni, al contrario, sono bloccati, ingolfati, non riescono a guardare avanti, ad avere un’idea di sviluppo.
I motivi? I politologi qui potrebbero sbizzarrirsi, e non solo loro. Si potrebbe evocare un certo “gattopardismo”, la tentazione a non cambiare mai nulla, ad essere conservatori fino alla morte, ma allo stesso tempo appare evidente la mancanza di preparazione specifica della nostra classe politica, per non dire di quella dirigenziale, e ricordare – per esempio – come in tutte le classifiche sulle università italiane i nostri atenei risultino sempre tra i peggiori. Ma noi abbiamo osservato solo i rendiconti, e certe considerazioni le lasciamo al lettore. D’altra parte, i numeri ci raccontano una realtà ben interpretabile. Ci dicono, come primo fattore, che i nostri Comuni hanno troppi dipendenti, circa 3.000 in più dei comuni del Nord. Che costano, e sottraggono risorse.
 
Ci dicono, poi,  e ce lo ricordano da 15 anni tutti gli esponenti della Lega Nord, che gli enti pubblici meridionali sono per certi versi dei “parassiti” nei confronti degli enti sovracomunali (principalmente Stato e Regioni), abituati a logiche assistenziali che vedono il totale dei trasferimenti dei tre comuni siciliani arrivare a 962 milioni di euro, ovvero superare di 269 milioni il totale dei trasferimenti delle tre “gemelle del Nord”. Con quali conseguenze? Una, principalmente.
L’adozione della solita logica del “paga pantalone”, e pressoché nessun impegno nel recupero “in house” delle risorse necessarie al mantenimento dello status quo e allo sviluppo del territorio.

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