Prima pensare solo dopo fare - QdS

Prima pensare solo dopo fare

Carlo Alberto Tregua

Prima pensare solo dopo fare

martedì 06 Settembre 2016
Conoscete la massima delle dieci P? Ve la scrivo: prima pensa, poi parla, perché parola poco pensata, poco pesa. Dunque, non bisogna dare fiato alla bocca e dire la prima cosa che viene in mente, ma riflettere, ponderare, soppesare, indi parlare, e solo dopo fare.
È chiaro che pensare per pensare non serve a nulla. I grandi pensatori hanno sempre tradotto le loro elucubrazioni in teorie, guide, regole, in modo da consentire alle persone normali di avere punti di riferimento.
Ma vi è un’altra ragione: la gente è abituata a parlare a casaccio; pochi sono quelli che prima di parlare cercano di coordinare le proprie idee in modo organico, per capire loro stessi, prima degli altri, che cosa vogliano dire.
Non so se vi sia capitato qualche oratore che dopo una serie di frasi spesso scollegate, domanda all’uditorio: che cosa voglio dire?
Sembra una forma retorica ma spesso è la verità: lui stesso non ha capito che cosa voleva dire.

È nota la differenza tra dialettica e retorica: entrambe fanno parte dell’argomentazione. Demostene (384 a.C. – 322 a.C.) sosteneva la dialettica, Isocrate (436 a.C. –  338 a.C.) e Aristotele (384 a.C. o 383 a.C. – 322 a.C.) la retorica.
La dialettica si basa su concetti in cui si crede e che si svogliono esprimere anche se si suppone non trovino il consenso dell’uditorio; la retorica invece è una forma di connessione con chi ascolta, per cui si modulano gli argomenti non già a sostegno del proprio modo di vedere, bensì per accattivarsi la simpatia dell’uditorio.
Molti hanno la sindrome del gelato (microfono). Pur di accaparrarselo farebbero qualunque cosa. Ma poi quando è il momento di metterci dentro dei concetti, i loro limiti risultano evidenti. Ciò perché chi parla in pubblico non si prepara adeguatamente, non ordina gli argomenti secondo l’importanza e presume che gli altri debbano comprendere indipendentemente da come essi vengano esposti.
Certo, chi parla in pubblico dovrebbe stabilire se le sue argomentazioni debbano seguire regole etiche oppure semplicemente compiacere. È una distinzione fondamentale per sapere cosa dire e come dirlo.
 

Vi è un’altra massima, quella delle tre P: prevedere, prevenire, provvedere. Che significa? Significa che nei limiti delle nostre modeste possibilità dobbiamo tentare di anticipare gli eventi o di capire che cosa stia arrivando. Ovviamente nessuno di noi ha la palla di vetro e quindi può prevedere ciò che è prevedibile. Però può fare prevenzione, facendo ragionamenti logici con i quali è possibile intuire fatti non ancora noti.
Prevedendo si possono trovare ed applicare soluzioni ai problemi che dobbiamo affrontare.
Provvedere significa fare. Tanta gente invece ama blaterare, criticare, vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto, invece di costruire, di essere positivi, di proporre soluzioni realizzabili. Dopodiché saranno i risultati a misurare l’efficacia di ciò che ognuno di noi ha messo in campo. I risultati e nient’altro che i risultati.
Tutte le attività sono misurabili da essi, perché costituiscono gli esami veri di chi voglia realizzare i propri progetti.

E infine la massima delle tre R: regole, rispetto, riservatezza.
Guai a non osservare le Regole in ciò che facciamo. Le leggi sono regole, le norme organizzative sono regole, i comportamenti nelle famiglie devono osservare le regole; nel lavoro ci sono le regole; e così via enumerando. Ma al di sopra di tali regole, vi sono quelle etiche. Le regole morali a cui anche le leggi, persino quelle più importanti come le Costituzioni, si devono sempre ispirare. Una legge dello Stato che non si ispiri ad equità,  e giustizia, è una legge che verrà difficilmente applicata.
L’altra R è il Rispetto; il rispetto verso il prossimo. Attuando questa massima di fatto si osservano tutti i comandamenti di qualunque religione ed anche di qualunque credo laico.
E infine la Riservatezza: stare nei limiti propri senza scaricare sugli altri le questioni personali, né per contro chiedere i fatti degli altri che a noi non debbono riguardare. Fermo restando il consiglio o l’aiuto richiesto dall’amico che non si deve mai negare.

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