Scuola, esodo docenti del Sud. L'87% insegnerà fuori Sicilia - QdS

Scuola, esodo docenti del Sud. L’87% insegnerà fuori Sicilia

Chiara Borzi

Scuola, esodo docenti del Sud. L’87% insegnerà fuori Sicilia

giovedì 08 Settembre 2016

Polemiche per il mal funzionamento dell’algoritmo Miur attraverso cui sono state assegnate le cattedre. Insegnanti non di ruolo ‘costretti’ ad accettare pena l’esclusione dalle graduatorie

CATANIA – La fine di agosto e gli inizi di settembre stanno coincidendo con quello che da molti è stato definito l’esodo dei docenti meridionali verso il Nord del paese. Sono insegnanti, per la maggior parte non di ruolo, che sono stati “costretti” ad accettare la chiamata in servizio ricevuta da scuole prevalentemente del Settentrione italiano, pena l’esclusione dalle graduatorie in cui sono inseriti da anni.
Il tutto secondo i meccanismi previsti dalla riforma Buona Scuola. Si tratta di un gruppo eterogeneo, di uomini e di donne di ogni età, che quest’estate hanno sì trovato una cattedra, ma ad un prezzo probabilmente troppo alto. Non da ora, ma da circa un anno si susseguono le storie di chi è andato via, non giovani laureati, ma madri e padri che hanno lasciato figli piccoli e famiglia per accettare il posto assegnato lontano dalla propria regione.
A veder cambiare la propria vita sono state anche famiglie più mature. è accaduto ad esempio a Catania, dove A. C ci ha raccontato: “Ho 55 anni e sto facendo le valigie. Lascio in Sicilia mio marito, a cui sono legata da 30 anni, e mia figlia che ha una situazione instabile a lavoro. Vado a Milano, dove dovrò prendere necessariamente servizio, a meno che non scelgo di rifiutare ed essere esclusa definitivamente dalle graduatorie. Siamo sempre noi popolazione del Sud a pagare. Ci sono delle soluzioni alternative a questa migrazione, ma il ministero non vuole neppure prenderle in considerazione”.
Su Facebook si moltiplicano giornalmente i gruppi di protesta, ma anche di sostegno ai docenti che in questi mesi sono stati sulla barricata. Istanze online, esami, bocciature, ricorsi al Tar sono stati argomenti quotidiani. è da qui che si apprende che in agosto il Tribunale amministrativo del Lazio ha bloccato la mobilità per un gruppo di docenti della Campania che avevano fatto ricorso, perché ha riconosciuto e sancito il non funzionamento dell’algoritmo utilizzato dal Miur e che ha assegnato le cattedre.
Se da un lato è dunque il ministero ad essere inevitabilmente sotto inchiesta, in questi ultimi due mesi è stata messa sotto la lente d’ingrandimento la preparazione degli stessi docenti. In Italia più della metà degli insegnanti non ha superato la prova scritta prevista dalla procedure. Seconda la tabella stilata da Tuttoscuola, utilizzando i dati diffusi dagli Usr (Uffici scolastici regionali), solo il 30,7 per cento dei docenti della Lombardia ha superato lo scritto ed è stato ammesso all’orale, in Liguria meno del 36 per cento, in Calabria il 37,6 per cento e in Sicilia meno del 40 per cento. Il risultato migliore è stato raggiunto dal Friuli Venezia Giulia con quasi il 79 per cento dei docenti ammessi. Si è molto parlato di “severità selettiva”, ma non può essere questo solo fattore a pesare sul risultato negativo di 10 regioni sulle 18 considerate da Tuttoscuola.
 

 
La difesa. Professori non messi in ordine di punteggio
 
Sono durissime le parole della segretaria generale FLC CGIL Sicilia Graziamaria Pistorino, che attaccando i “difensori dell’algoritmo” ha evidenziato come il 78 per cento degli insegnanti in mobilità sia meridionale. Pistorino ha attaccato il Miur soprattutto sul tema dell’assegnazione dei posti nelle varie fasi (Zero, A, B e C). “I colleghi si sentono deportati perché non gli è stato consentito di scegliere e soprattutto perché non sono stati messi in ordine di punteggio”, ha detto la segretario definendo i criteri che hanno prodotto risultati non trasparenti, “iniqui e non condivisi”. Secondo i numeri diffusi da FLC Cgil, nella scuola primaria il 91 per cento dei docenti siciliani è stato obbligato a trasferirsi fuori sede, nella secondaria di I grado il 74 per cento, nella secondaria di II grado il 90 per cento. In totale l’87 per cento dei docenti siciliani è stato costretto a lasciale l’Isola. è possibile ridurre questa percentuale, basterebbe aumentare o reintrodurre il tempo pieno. Questo potrebbe accadere se ci fossero banalmente i fondi per riattivare il servizio mensa nelle scuole, ma anche questo è un problema. La scuola siciliana funziona con un orario settimanale di 27 ore, mentre nel resto d’Italia si sfiorano le 40. Fa notare FLC Cgil: “Il minore che frequenta per 27 ore rispetto a chi frequenta per 40 ore, frequenta (13×33) 429 ore di scuola in meno per ciascun anno scolastico, per un totale nei 5 anni di 2.145 ore in meno: quasi due anni scolastici in meno rispetto ad un coetaneo che vive in altra regione”. La protesta dei docenti continua.
 

 
L’altra faccia della medaglia: è iniziata la corsa alla cattedra di sostegno per rientrare in Sicilia
 
PALERMO – Avvenute le assegnazioni dei posti nella scuola pubblica, sono parecchi gli scontenti che si ritrovano a dover lavorare a migliaia di chilometri da casa.
Se la scelta di andare fuori era parsa l’unica possibile dopo la riforma, adesso per rientrare soltanto due sembrano essere le strade percorribili: l’assegnazione provvisoria e la cattedra come insegnante di sostegno. E proprio quest’ultimo caso scatena le polemiche. Innanzitutto, perché questa procedura non è stata applicata in egual modo in tutte le regioni italiane. A sottolinearlo il coordinamento nazionale “Docenti Fase C”: “Riteniamo inaccettabile – scrivono i docenti – la difformità riscontrata nella stipula dei contratti decentrati regionali concordati dai vari uffici scolastici regionali e le organizzazioni sindacali in merito alla deroga utile per consentire ai docenti, che abbiano chiesto e non ottenuto assegnazione provvisoria, di poter rientrare nella propria provincia di residenza mediante utilizzo di posti di sostegno compresi in organico di fatto, anche senza titoli”.
Secondo e più grave problema, il fatto che la quasi totalità dei docenti del Sud con assegnazione al Nord non hanno comunque le competenze necessarie per occuparsi efficacemente di una posizione così delicata come quella dell’insegnante di sostegno. “Qui si sta facendo un uso strumentale del sostegno”, ribattono i coordinamenti “Docenti Specializzati di Sostegno, di ruolo e non”, che chiedono il “ritiro immediato del procedimento di conferimento delle assegnazioni provvisorie su posti di sostegno e revoca della proposta di percorsi abilitanti speciali sul sostegno per il personale docente già di ruolo”.
I sindacati, infatti, hanno proposto dei corsi, per i docenti non specializzati, che dovrebbero fornire agli insegnanti le necessarie conoscenze di cui non sono in possesso. Per i coordinamenti, l’accordo sottoscritto in alcune regioni “non risulta conforme a quanto stabilito in materia di contrattazione nazionale. Il contratto collettivo nazionale di lavoro 2016-17, infatti, limita la contrattazione regionale decentrata a disciplinare esclusivamente le operazioni di utilizzazione e stabilisce come legittime le assegnazioni provvisorie sul sostegno per non specializzati solo se questi ultimi si trovano in situazione di esubero”.
I corsi proposti dai sindacati sono molto diversi dal percorso che devono affrontare gli specializzati, che, innanzitutto, devono superare tre prove di accesso per posti limitati e definiti regionalmente dal ministero dell’Istruzione sulla “base della programmazione regionale degli organici”, a cui segue “un faticoso iter formativo da conseguire in non meno di otto mesi attraverso 60 cfu di esami, laboratori, tirocinio di 5 mesi ed una prova finale”.
In pratica, la scelta di svolgere questi corsi porterebbe all’esclusione di coloro che hanno maturato esperienza dopo aver conseguito la formazione ad hoc, per lasciare “il posto a docenti che poco sanno di didattica né tanto meno di ‘didattica speciale’”.
Una situazione controversa, che parte da un disagio generale dell’intero comparto, stravolto dalla recente riforma. Di pochi giorni fa la manifestazione a Palermo con più di cento manifestanti davanti la prefettura. La posizione dei manifestanti, appartenenti al “Comitato 8 mila esiliati Fase B Gae”, è chiara: su 8 mila docenti immessi in ruolo al Nord, 5 mila sono siciliani, persone che avevano sempre insegnato negli istituti dell’Isola. La delegazione ha quindi chiesto l’apertura di un tavolo con i rappresentanti del ministero dell’Istruzione e dell’Ufficio scolastico regionale per fermare questo trasferimento di risorse e famiglie lontano dalla Sicilia.

Michele Giuliano

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