Carlo Azeglio Ciampi, un grande Presidente - QdS

Carlo Azeglio Ciampi, un grande Presidente

Serena Giovanna Grasso

Carlo Azeglio Ciampi, un grande Presidente

martedì 20 Settembre 2016

Un servitore dello Stato che con mano ferma e senza tentennamenti ha lavorato per il bene del Paese. Occorre seguire la sua visione dell’Europa: più unita e senza differenze

PALERMO – Con i funerali celebrati nella giornata di ieri, la storia italiana ha dato l’ultimo saluto a uno dei suoi più grandi uomini: il decimo presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi. Una figura di Stato di enorme spessore, che nel corso dei decenni ha svolto incarichi fondamentali per le istituzioni del Paese, non tutti strettamente afferenti al tracciato politico.
Forse – e viene da pensarlo anche dopo aver sentito alcuni commenti poco ispirati che hanno contraddistinto le cronache di questi giorni – le giovani generazioni non conoscono bene l’onorevole carriera condotta nella Banca d’Italia, ente all’interno del quale ha trascorso complessivamente 47 anni di vita lavorativa. Vi cominciò a lavorare come impiegato già nel 1946 e a partire dagli anni Settanta iniziò la scalata verso i ruoli di vertice dell’istituto bancario: nel 1973 diventò segretario generale, nel 1979 vice direttore generale, nel 1978 direttore generale e nell’ottobre del 1979 governatore, carica che continuò a ricoprire fino all’aprile del 1993.
Quest’ultima nomina fu suggerita da Paolo Baffi, il precedente governatore dimessosi a causa dell’incriminazione per favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio nel corso di un’inchiesta sul mancato esercizio della vigilanza sugli istituti di credito (accuse da cui venne prosciolto). Dunque, è possibile immaginare quale periodo difficile si trovò ad affrontare Ciampi. Inoltre, in quel momento, a causa del prezzo del petrolio, l’Occidente era in recessione, l’inflazione a due cifre moltiplicata dal meccanismo della scala mobile, la circolazione dei capitali bloccata, Tesoro e Banca d’Italia strettamente avvinti, nel senso che la Banca era obbligata a sottoscrivere tutti i Buoni che il Tesoro non riusciva a collocare, sistema che si traduceva nella libertà del governo di stampare quanta carta moneta voleva.
Ulteriore difficoltà che il governatore Ciampi si trovò ad affrontare si verificò nel luglio 1985 con la svalutazione della lira nei cambi valutari (a ogni dollaro equivalevano 2.200 lire, rispetto alle 1.870 lire precedenti). In tale occasione, Ciampi presentò le proprie dimissioni dalla carica, dimissioni fermamente rifiutate dal Governo Craxi.
L’altra grande crisi venne affrontata nel 1992. Il 13 settembre la nostra moneta fu svalutata del 7% e il 17 fu data notizia della chiusura del mercato dei cambi in Italia per tre giorni lavorativi, con la conseguenza della non applicazione degli obblighi di intervento previsti dal meccanismo dello Sme, in pratica l’uscita della lira dal Sistema monetario europeo. Nello stesso giorno fu varata la supermanovra da centomila miliardi di lire del governo Amato (aumento dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva, blocco dei pensionamenti, patrimoniale sulle imprese, minimum tax, prelievo straordinario sui conti correnti bancari, introduzione dei ticket sanitari, tassa sul medico di famiglia, Ici, avvio delle privatizzazioni, blocco di stipendi e assunzioni nel pubblico impiego).
Nella drammatica crisi del 1993, provocata da Tangentopoli, in quanto tecnico estraneo ai partiti Ciampi fu chiamato a traghettare il Paese verso la Seconda Repubblica. Ciampi accettò di diventare capo del governo e lasciò la responsabilità della Banca d’Italia al cattolico Antonio Fazio.
Da presidente del Consiglio, spinse fortemente sulle privatizzazioni, di cui l’acmè del successo si raggiunse con l’avvio del processo di privatizzazione delle Poste italiane. Sempre in riferimento alla sua attività di presidente del Consiglio, va ricordato il successo conseguito il 23 luglio 1993 con l’intesa governo-Confindustria-sindacati, meglio nota come “concertazione”, nella quale ciascuna delle tre parti al tavolo rinunciava a qualcosa in cambio di un auspicato sviluppo del Paese.
Prima come presidente del Consiglio e poi come ministro del Tesoro nei governi Prodi e D’Alema, Ciampi impresse una formidabile svolta risanatrice alle Finanze di uno Stato sull’orlo della bancarotta, coronando la sua impresa con l’aggancio dell’Italia all’Euro. Proprio a proposito dell’euro, è stato aspramente contestato il cambio ottenuto da Ciampi a Bruxelles nel novembre del 1996 nei panni di ministro del Tesoro (un euro uguale a 1.936,27 lire). Infatti, secondo Silvio Berlusconi, questo cambio sarebbe risultato troppo oneroso per le imprese italiane, ma al momento appaiono più convincenti le argomentazioni di chi parla di un’impresa assai difficile, viste anche le condizioni in cui versava il nostro Paese.
Nonostante queste critiche, fu sempre considerato una figura fondamentale per l’adozione dell’Euro e, come uno dei ministri più popolari del Governo, godette anche dell’appoggio del mondo economico e finanziario, oltre che della stima dei dirigenti dell’Unione europea.
Il 13 maggio 1999 Ciampi fu eletto presidente della Repubblica al primo scrutinio con 707 voti. La sua candidatura venne avanzata da un vasto schieramento parlamentare e in particolare dall’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che durante le trattative ottenne il benestare dell’opposizione di centro-destra. Il suo mandato fu caratterizzato dall’impegno in difesa dell’unità e dell’identità nazionale, nonché dei principi costitutivi dell’Italia democratica. Ciampi fu un presidente che, come avvenuto con Sandro Pertini, ebbe sempre un alto indice di gradimento popolare nei sondaggi fatti dai vari Istituti italiani, con una media oscillante tra il 70 e l’80%, rimanendo sempre uno dei personaggi sui quali gli italiani riponevano la loro fiducia.
Durante i cinque anni di governo Berlusconi, rifiutò di firmare la legge Gasparri sulla tv, respinse la riforma della Giustizia da lui giudicata in alcuni punti “palesemente incostituzionale”, rinviò la legge Pecorella che impediva alla pubblica accusa di ricorrere in caso di assoluzione (tutte leggi che gli furono ripresentate in seconda lettura corrette solo per il minimo indispensabile). Ciampi pronunciò sempre in favore di un dialogo costruttivo tra le forze politiche che, pur nella dialettica accesa del confronto, non perdesse mai di vista gli interessi generali del Paese.
Nel 2006, giunto a termine il mandato di presidente della Repubblica, ne fu proposta la rielezione, fermamente opposta però dallo stesso Ciampi a causa dell’età ormai avanzata.
 

 
Contributo fondamentale al risanamento dei conti
 
PALERMO – Carlo Azeglio Ciampi nacque a Livorno il 9 dicembre del 1920. Fu allievo del filosofo Guido Calogero e nel 1941 a Pisa conseguì la laurea in lettere presso l’Università e il diploma della Scuola Normale. Chiamato alle armi nello stesso anno, fu sottotenente in Albania e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò. Nel 1946 si laureò in giurisprudenza all’Università di Pisa, anno in cui sposò Franca Pilla. Assunto nello stesso anno dalla Banca d’Italia ne divenne in seguito capo del Servizio studi (1970), segretario generale (1973), vice direttore generale (1976) e direttore generale (1978). Fu poi nominato governatore della Banca d’Italia e presidente dell’Ufficio italiano cambi (1979-1993).
Il suo impegno come uomo di governo ebbe inizio nell’aprile 1993, quando assunse la carica di presidente del Consiglio dei ministri fino al maggio 1994. Sempre nel corso degli anni Novanta ricoprì altri incarichi prestigiosi: governatore onorario della Banca d’Italia (dal 1993), vice presidente della Banca dei regolamenti internazionali (1994-1996), presidente del Gruppo consultivo per la competitività in seno alla Commissione europea (1995-96).
Dal 1996 ricoprì gli incarichi di consigliere d’amministrazione e, successivamente, di consigliere scientifico dell’Istituto dell’enciclopedia italiana. Dal maggio 1996 al maggio 1999, fu ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica nei governi Prodi e D’Alema, dando un contributo fondamentale al risanamento dei conti pubblici e al raggiungimento dei parametri stabiliti dal Trattato di Maastricht. Dal 18 maggio 1999 al 15 maggio 2006 ricoprì la carica di presidente della Repubblica.
 

 
L’allargamento dell’Unione e la sfida agli euroscettici
 
PALERMO  – Ciampi è stato definito un “europeista convinto”. Fautore della necessità di consolidare le fondamenta dell’Unione europea non solo dal punto vista economico, ha ritenuto indispensabile la trasformazione dell’Europa in un soggetto politico unitario, capace di svolgere con autorevolezza il ruolo di forza di pace nel mondo.
Fortissimo fu l’impegno di Ciampi nel coinvolgimento dell’Italia verso la moneta unica, nonostante la consapevolezza che si trattasse esclusivamente di un piccolo passo verso la formazione di un’Europa come egli la intendeva: ovvero, dotata di un’unica autorità in grado di sovrintendere alla politica monetaria ed economica.
Il mancato progresso in questa direzione era da addebitarsi agli errori dei governanti dei diversi Stati-membri. Nel 2004 colse subito la problematicità di un allargamento troppo ampio e troppo rapido ai sistemi politici ex-comunisti dell’Europa centro-orientale, poco e mal preparati, dal punto di vista amministrativo e socio-economico, a entrare in un consesso omogeneo e sviluppato, ma fu consapevole che l’Europa che esisteva poteva comunque contribuire a fare crescere e consolidare le democrazie di quei Paesi
Il suo settennato presidenziale dovette fare i conti con governi euroscettici. Più volte levò la sua voce a sostegno di una certa idea d’Italia, quella che agisce da partner attivo e affidabile sulla scena europea, e di una certa idea di Europa, che mira alla coesione e che fa leva sugli Stati-membri tentando di diventare “un’Unione sempre più stretta”.
Per Ciampi l’Europa era un futuro al quale gli italiani potevano e dovevano dedicarsi.

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