Referendum, la verità sul quesito - QdS

Referendum, la verità sul quesito

Carlo Alberto Tregua

Referendum, la verità sul quesito

mercoledì 28 Settembre 2016

Smuovere le acque dell’immobilismo

Il quesito referendario sulla riforma costituzionale è il seguente: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?»
Esso è chiaro, nitido, non lascia spazi a nessun dubbio, per cui chi dovrà votare il 4 dicembre prossimo saprà con certezza che cosa comporta indicare il Sì oppure il No.
Sul bicameralismo paritario, ormai unico caso in Europa, non sembra possano esservi dubbi relativamente ai danni che esso ha comportato in questi ultimi decenni. Una lunghezza enorme dei tempi per l’approvazione delle leggi, le quali hanno fatto andirivieni tra le due Camere, spesso più di una volta, con letture multiple. Ciò anche per la differente composizione parlamentare di Camera e Senato, per i diversi sistemi elettorali ed anche perché gli elettori della Camera votano a 18 anni e quelli del Senato a 25.   

La seconda parte, e cioè eliminare 315 senatori, mentre ne resterebbero solo 100, comporterà il taglio per tutti delle indennità e prebende che in atto vanno ai senatori eletti, perché sindaci e consiglieri comunali saranno pagati dalle rispettive istituzioni. È falso chi afferma che essi non siano eletti perché in effetti la loro elezione è stata sottoposta al vaglio degli elettori la prima volta.
Sulla terza parte del quesito, non vi è dubbio che il taglio del numero dei parlamentari e l’abolizione del Cnel (quarta parte) comporterà una riduzione stimata di 500 milioni di euro, nella direzione del taglio della spesa corrente, indispensabile a recuperare risorse per gli investimenti.
Già da questa prima sommaria illustrazione si capisce benissimo l’utilità della riforma che peraltro è stata sottoposta al vaglio dei parlamentari per ben sei volte, fra Camera e Senato, e mai in ciascun passaggio è stata posta la questione di fiducia, perché vietata ma anche perché non sarebbe stata opportuna. E così non è stato.
 

Sulla quinta parte il quesito è un po’ ermetico per la verità, perché si tratta di votare sulla revisione della parte II del titolo V che riguarda il pasticcio sull’attribuzione di competenze tra Stato ed Enti locali, soprattutto relativamente alle cosiddette materie di legislazione concorrente.
Questo fatto ha creato conflitti di competenze a non finire tra Stato e Regioni autonome e ordinarie con centinaia di ricorsi davanti alla Corte Costituzionale, sia da parte dell’Ente centrale che di quelle periferiche.
Con la riforma, tutta una serie di materie vengono attribuite al governo centrale ed altre in via esclusiva alle Regioni. Il che dovrebbe comportare un forte calo dei conflitti con la conseguenza di far scorrere più rapidamente le leggi e di provocare gli effetti in tempi accettabili e non lunghissimi come accade oggi.
Si tratta quindi di chiarire bene agli elettori la portata della riforma, che non è perfetta, che in alcune parti è anche confusa, che come dice Massimo Cacciari è “una puttanata”. Tuttavia smuovono le acque dell’immobilismo istituzionale che né D’Alema né Berlusconi sono stati capaci di ricambiare nei venti anni in cui sono stati, fra gli altri, presidenti del Consiglio.   

Chi non vuole che la riforma sia approvata, con un Sì netto e chiaro, è tutta la categoria dei privilegiati che dallo Status quo trae vantaggi. Sì, perché la lentezza nella formazione delle leggi e nella loro applicazione consente una forte resistenza dei privilegiati di ogni genere e tipo che si annidano nelle categorie diverse dei cittadini.
Dunque, il Sì o il No non è a favore o contro la riforma in quanto tale, ma sui risultati che essa vuole produrre, rinnovando le istituzioni e tagliando i costi, oltre che mettere nelle mani degli elettori uno strumento che consenta la velocizzazione degli iter parlamentari.
Non è che bisogna votare Sì turandosi il naso, come diceva Indro Montanelli quando consigliò agli italiani di votare per la DC, ma spiegare con chiarezza che è meglio una riforma non perfetta che uno stagno immobile ove imputridiscono le sostanze organiche, infettando i cittadini.

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