Falcone, capogruppo Forza Italia all’Ars: “Non avremo evoluzione e semplificazione, ma solo conflittualità”. Miccichè: “La nostra proposta è quella di un’Assemblea costituente eletta dal popolo”
PALERMO – Manca poco più di un mese alla data in cui i cittadini dovranno esprimersi, attraverso la formula del referendum, se si debba attuare o meno la riforma costituzionale proposta dal premier Renzi. Le opposizioni sono ovviamente per il “No” a cominciare da Renato Schifani di Forza Italia che ha detto come “Con la riforma costituzionale si sta disegnando un ‘mostro’: il nuovo Senato rischia di paralizzare la Camera e di compromettere il rapporto fra Italia e Comunità europea su questioni importantissime. Per non parlare dell’effetto combinato riforma-Italicum, che porterebbe un uomo solo al comando”. Le ragioni del no le ha espresse ieri nel corso di una conferenza stampa a Palazzo dei Normanni. “Il premier – ha aggiunto Schifani – prima ha politicizzato il referendum e poi ha provato a fare passi indietro: penso alla sua disponibilità a rivedere l’Italicum dopo che proprio sulla legge elettorale aveva posto la fiducia. Gli sforzi di Renzi e il suo tentativo di monopolizzare l’informazione danno la misura della condizione in cui si trova quest’uomo”.
Gianfranco Miccichè, commissario di Forza Italia in Sicilia, ha posto una alternativa: “La nostra proposta è quella di una Assemblea costituente eletta dal popolo e composta da persone competenti – ha detto Miccichè – perché come si è visto in parlamento gli scontri fra maggioranza e opposizione sono stati continui. Le regole non possono essere scritte da un partito solo, anzi in questo caso da mezzo partito perché metà del Pd voterà no”.
Marco Falcone, capogruppo di Forza Italia all’Ars, ha sottolineato come “Con la riforma costituzionale si passerebbe dal bicameralismo perfetto ad un bicameralismo anomalo, con conflitti di competenza fra Camera e Senato. Insomma non avremmo evoluzione e semplificazione ma conflittualità”. Un fatto è comunque certo: se si farà la riforma gli stipendi dei consiglieri regionali si ridurranno sensibilmente e saranno equiparati a quelli dei sindaci dei capoluoghi di regione: in ballo ci sono circa 3.000 euro netti in meno.