Gli effetti dell'uragano Trump sulle politiche ambientali - QdS

Gli effetti dell’uragano Trump sulle politiche ambientali

Bartolomeo Buscema

Gli effetti dell’uragano Trump sulle politiche ambientali

giovedì 17 Novembre 2016

Il rischio è che vengano vanificati tutti gli sforzi di Barack Obama sui cambiamenti climatici. L’eventuale uscita degli Usa dall’accordo di Parigi non fermerà il processo avviato

CATANIA – Il prossimo 20 gennaio 2017, Donald Trump sarà il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Con l’elezione del magnate americano, noto “negazionista”, tutte le azioni messe in atto dall’amministrazione di Barack Obama per la lotta ai cambiamenti climatici rischiano di essere vanificate.
Non è certo una buona notizia per i partecipanti alla ventiduesima conferenza sul clima mondiale Cop 22 (Conference of the Parties), che si sta svolgendo a Marrakech, sotto l’egida delle Nazioni unite (United nations framework convention on climate change -Unfccc). Il futuro presidente degli Stati Uniti, seconda nazione inquinatrice al mondo, durante la sua campagna elettorale è stato l’autore di numerose dichiarazioni che remano contro la lotta ai cambiamenti climatici. Qui, enucleando da una nutrita lista, ne citiamo due: il riscaldamento globale “è stato creato dai cinesi per rendere meno competitiva l’industria americana”; l’Eepa (l’Agenzia  americana per la protezione dell’ambiente ) è “una disgrazia  e dovrà essere chiusa”. I delegati partecipanti al Cop 22, per ora, non sembrano eccessivamente preoccupati. Continuano a lavorare con la speranza che la ratifica del trattato parigino e il recente accordo sul clima tra Usa e Cina, con il conseguente vincolo di quattro anni, possa arginare l’uragano, è il caso di dirlo, Trump.
Un quadro internazionale sicuramente fosco, se teniamo in considerazione i tanti annunci gridati durante la campagna elettorale. Il futuro presidente americano vuole: annullare i miliardi di dollari di contributi promessi dalle Nazioni unite per la lotta ai cambiamento climatico  mondiale; ostacolare lo sviluppo delle rinnovabili definite come “un modo costoso di far sentire bene gli abbracciatori di alberi”; cancellare il “Clean power act” che è un programma per la riduzione delle emissioni nel settore energetico, introdotto con non poche difficoltà da Obama; rivitalizzare la politica estrattiva pro-industrie fossili, aumentando le estrazioni di gas (anche da fracking) e petrolio interni, anche offshore.
Per fortuna, l’eventuale fuoriuscita degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi non fermerà il processo avviato, posto che i rimanenti novantasei Paesi che si sono già formalmente impegnati raggiungono insieme la soglia critica del 55% delle emissioni totali di anidride carbonica immesse in atmosfera ,evitando l’invalidamento dell’accordo parigino. Sicuramente lo rallenterà, con il rischio di trascinare dall’altra parte della barricata Russia, Cina e India. Per ora non abbiamo altra scelta che aspettare.
Vogliamo,però, terminare con una speranza che ha una sua ratio  che poggia sui corsi e ricorsi storici di vichiana memoria. Anche l’esordio  dell’amministrazione Reagan fu particolarmente negativo  per la salute del nostro pianeta; dopo le cose cambiarono e fu proprio il presidente  Reagan  che permise  la nascita del   protocollo di Montreal, firmato il 16 settembre 1987, per la riduzione dell’uso di sostanze che minacciano lo strato  protettivo di ozono stratosferico.
 

 
Le reazioni da Marrakech dopo la vittoria del tycoon
 
MARRAKECH – Il presidente francese Hollande, parlando martedì alla Cop22 di Marrakech, ha detto che l’accordo di Parigi sul clima è “irreversibile” e che gli Stati Uniti devono rispettare la decisione dell’amministrazione Obama. Hollande ha spiegato che la Francia avrà un dialogo rispettoso sul cambiamento climatico con il presidente Trump, ma ha aggiunto che “chiede” il coinvolgimento degli Stati Uniti a nome dei più di 100 paesi che hanno ratificato l’accordo. “La maggior parte degli stati che formano gli Usa hanno compreso l’urgenza dei problemi legati al cambiamento climatico, sono sicuro che il nuovo presidente non potrà ignorarlo, non potrà fare a meno di comprendere a sua volta’’. Queste le parole del segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon rivolgendosi al neopresidente degli Usa Trump, scettico verso le politiche ambientaliste. ‘’L’orizzonte è quello del 2020 – ha aggiunto – ma sono persino sorpreso che stati come la California abbiano preso così seriamente il tema di abbattere le emissioni di CO2 tanto da essere già sulla buona strada. È necessario, per la salvezza di tutto il pianeta. Per questo non è più possibile fermare la macchina. Se non andassimo avanti, ce ne pentiremmo per le generazioni future”.

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