La "rivoluzione" dell'agricoltura siciliana - QdS

La “rivoluzione” dell’agricoltura siciliana

Michele Giuliano

La “rivoluzione” dell’agricoltura siciliana

venerdì 02 Dicembre 2016

Prendono piede nell’Isola le piante tropicali: boom di coltivazioni di banane e avocado favorite dal cambiamento climatico. Preoccupazione per i prodotti tipici, al Nord gli uliveti e la vite che raggiunge i 1.200 m di altitudine

PALERMO – Lentamente, come succede da migliaia di anni, la natura, con la mano amica dell’uomo, si adatta ai cambiamenti climatici e atmosferici. E quelle che sono state per secoli coltivazioni tradizionali del territorio siciliano, potrebbero nei prossimi decenni perdere terreno a favore di piante nuove e più “tropicali”.
Una rivoluzione per la nostra agricoltura, che vede trovare spazio per gli avocado, nella zona di Giarre, in provincia di Catania, o per le banane, in provincia di Palermo, il tutto legato al continuo innalzamento delle temperature, che hanno trovato un picco nell’anno in corso, indicato come il più caldo di sempre secondo le stime dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Allo stesso modo, si spostano sempre più verso il Nord Italia gli uliveti, arrivati alle pendici delle Alpi, e anche la coltivazione della vite, che cresce ormai a quasi 1.200 metri di altitudine, come succede in Val d’Aosta, in cui la produzione è già stata contrassegnata come Dop. E non si tratta soltanto di distribuzione delle coltivazioni sul territorio italiano ed europeo, ma di cambiamento della qualità e delle caratteristiche intrinseche del prodotto. Ad esempio, il vino italiano è aumentato in media di un grado in termini di gradazione alcolica.
Nessuna variazione, invece, per la distribuzione geografica della produzione del pomodoro, che rimane elemento principe in Pianura Padana, dove viene prodotta la metà delle conserve di pomodoro italiane, con l’Emilia-Romagna superata solo dalla Campania come produzione regionale. Eppure non è tutto oro quel che luccica. Se da una parte si plaude alla possibilità di aprirsi a nuove coltivazioni, e di conseguenza a nuovi mercati, dall’altra c’è una certa preoccupazione per i prodotti tipici. "Il riscaldamento provoca infatti anche – precisa la Coldiretti – il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto – continua la Coldiretti – mette a rischio di estinzione il patrimonio di prodotti tipici made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori umani e proprio alla combinazione di fattori naturali e umani".
 
Ancora, i cambiamenti climatici possono provocare altri problemi, legati alla gestione delle coltivazioni in termini di trasformazione dell’ecosistema generale.
L’aumento della temperatura, infatti, unita alla globalizzazione degli scambi di cose e persone, ha provocato nei campi e nell’ambiente Sicilia e complessivamente italiano la diffusione di diversi parassiti “alieni”, al quale l’ambiente estraneo non riesce a reagire prontamente, cadendone vittima. Diversi gli esempi: dalla xylella, che ha attaccato e decimato gli ulivi salentini lo scorso anno, al cinipide galligeno che ha gravemente danneggiato i raccolti di castagne, alle cimici marmorate asiatiche, che si riproducono in maniera estremamente veloce, deponendo 300-400 uova due volte l’anno, aiutate da un autunno tiepido. Nelle settimane appena trascorse hanno attaccato diverse aree del Nord Italia e hanno invaso coltivazioni e case, in un clima degno di un film horror splatter. Unica soluzione, l’introduzione di antagonisti naturali, che sarebbero però comunque estranei all’habitat autoctono; pertanto, le conseguenze non sono facilmente prevedibili.
In Sicilia ormai da anni si lotta contro il punteruolo rosso, che ha distrutto buona parte delle palme anche secolari del nostro territorio, e la Tristeza, il virus di origine asiatica che attacca gli agrumi.

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