L'Italietta delle lobbies ostacola il futuro - QdS

L’Italietta delle lobbies ostacola il futuro

Carlo Alberto Tregua

L’Italietta delle lobbies ostacola il futuro

sabato 10 Dicembre 2016

Meglio restare nello stagno della corruzione

Il voto di domenica 4 dicembre, che ha affossato la riforma costituzionale, in effetti ha affossato il Governo Renzi perché ha avuto l’imprudenza di riformare pezzi importanti delle istituzioni, prevedendo fra l’altro l’eliminazione di 315 senatori, del Cnel, delle Province ed il taglio delle indennità dei consiglieri regionali.
Contro Renzi si sono uniti il diavolo e l’acqua santa. Sembrava impossibile, ma così è stato. Perché ognuna delle parti contrarie all’ex sindaco aveva da difendere i propri interessi, infischiandosene altamente dell’interesse generale.
Hanno vinto le lobbies, perché ognuno ha tirato tre angoli del lenzuolo al fine di lasciare scoperto il quarto, quello rappresentato da Renzi.
Ora che succede? Riattiviamo le Province? Manteniamo in vita il Cnel? Resta intasata la Corte costituzionale dal grande contenzioso tra Stato e Regioni? Ci teniamo un Senato che costa 550 milioni l’anno? Sì, è così. Va tutto bene perché il popolo ha voluto che tutto restasse così com’era.

Cosicché lo stagno della becera conservazione, nella quale prolifica bene la corruzione con il mantenimento dei privilegi di questa o di quella parte, rimane fermo e insensibile al vento dell’innovazione, del riformismo e quindi attende il futuro in queste condizioni non competitive.
Ma così l’Italia non può progredire, non può diventare competitiva, può solo galleggiare vivendo giorno per giorno, senza affrontare le grandi questioni strutturali fra le quali evidenziamo: l’arretratezza del Sud, conseguente anche alla scarsa dotazione infrastrutturale; la fragilità idrogeologica del territorio, la scarsa capacità di attrarre investitori esteri per lo scadente funzionamento della giustizia e per la disfunzione generalizzata della Pubblica amministrazione.
Come si vede l’Italia è semi-asfissiata perché strutturalmente non funziona. E non funziona perché tutto il settore pubblico è inchiodato dalla immeritocrazia e perché nella società mancano quei valori fondamentali dell’equità e della giustizia, senza dei quali hanno buon gioco i prepotenti e le lobbies.
 

Nonostante ciò, bisogna guardare avanti, ma restano intatti i problemi strutturali che non possono essere affrontati in maniera episodica, giorno per giorno.
Lo dicono gli analisti internazionali, ma anche quelli nazionali: è indispensabile una svolta nel modo di fare politica e cioè analizzare, valutare, decidere e agire con grande tempestività, secondo cronoprogrammi tassativi. E poi inserire in un mondo magmatico, il sistema premiale e sanzionatorio, mediante il quale chiunque agisca bene o male sia riconosciuto per quello che fa o per quello che non fa o fa male.
Il 2017 sarà l’anno della svolta. Emerge sempre più la necessità di ridare la voce al popolo perché questo si esprima sul vero tema di fondo: chi vuole che lo governi e a chi intende dare fiducia per affrontare i prossimi anni, decisivi in quanto saranno quelli buoni della forte ripresa che ciclicamente segue una fase di depressione, come quella particolarmente lunga che stiamo lasciando, anche per le condizioni internazionali.

Nella prossima estate, secondo molti economisti, l’inflazione avrà ripreso vigore, ritornando a quel dato fisiologico che è il 2 per cento. Ma con essa anche il costo dell’enorme debito pubblico, ammontante a 2.212,6 miliardi (Istat, settembre 2016), aumenterà di almeno 2 punti, facendo lievitare la cifra annuale degli interessi di almeno 10 miliardi.
A questo risultato contribuirà l’aumentato prezzo del petrolio – che ancora costituisce la materia prima energetica principale dello sviluppo – ora che il cartello dell’Opec ha cominciato a tagliare 1,2 milioni di baliri al giorno, imitato da quei Paesi che non ne fanno parte, fra cui Russia e Cina.
Gli Stati Uniti hanno raggiunto la totale autonomia energetica e anzi si accingono a esportare petrolio in quanto aumentano le fonti rinnovabili interne. In un mondo che si sviluppa velocemente (la Cina ha un incremento di Pil 2016 vicino al 7%, gli Usa vicino al 3%), chi resta indietro è perduto.
Ma l’Italia non si deve perdere, per cui bisogna far capire al popolo l’urgenza delle profonde riforme che taglino le unghie ai privilegiati.

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