Giovani, "Che colpa abbiamo noi" - QdS

Giovani, “Che colpa abbiamo noi”

Carlo Alberto Tregua

Giovani, “Che colpa abbiamo noi”

venerdì 03 Febbraio 2017

Premiare i volenterosi, non i fannulloni
 

Vi ricordate la canzone dei Rokes del 1966: “Che colpa abbiamo noi”? Sono passati oltre cinquant’anni e la preparazione dei giovani è fortemente diminuita. Questa è una delle cause principali dell’elevata disoccupazione indicata dall’Istat al 31/12/2016, del 40,1% nella classe d’età 15-24 anni e del 17,1% nella classe 24-35 anni.
È inspiegabile come la prima delle due classi comprenda i giovani a partire da 15 anni, dato che a quell’età dovrebbero essere a scuola e non nel mondo del lavoro.
Capire come mai l’occupazione si sia indirizzata verso gli ultracinquantenni e verso le donne, ma non verso i giovani, è abbastanza semplice. Assumono le imprese e non le Pubbliche amministrazioni, ove il turn-over è bloccato da molti anni. Le imprese cercano persone che abbiano competenze e quindi siano in condizioni di svolgere il proprio lavoro con normalità e senza bisogno di una formazione costosa, sia in termini di ore dei formatori che in termini dell’ovvio scarso rendimento per chi ancora non sa far bene il compito cui è preposto.

Che colpa hanno i giovani di questa fotografia? Poca, per almeno due ragioni. La prima riguarda l’organizzazione della scuola che, contrariamente a quanto si fa in Germania, Finlandia e Norvegia, non ha attivato gli stage presso le aziende. In Germania, un terzo dell’anno scolastico delle classi terminali viene passato proprio all’interno delle imprese, cosicché gli studenti non soltanto cominciano ad apprendere il mestiere, ma entrano nell’ordine di idee che un’attività, per funzionare, debba essere organizzata, imparando i rudimenti dell’efficienza.
La seconda ragione riguarda le famiglie, che non inducono i figli ad apprendere come si lavora, ma usano pietismo e pannicelli caldi per giustificarne la malavoglia.
A conferma di quanto scriviamo, rileviamo, per contro, che vi sono giovani di valore, che si sacrificano di giorno, di notte e nei festivi pur di saperne di più, pur di imparare un mestiere e una professione, pur di acquisire manualità e abitudine a un lavoro produttivo.
Né Stato né famiglie, e neanche gli insegnanti, applicano il principio del merito, secondo cui i ragazzi volenterosi vanno sostenuti con ogni mezzo, mentre i fannulloni andrebbero penalizzati.
 

Quindici dipendenti del Birrificio di Messina, fondato nel 1923, sono il fulgido esempio di come si possa trasformare un’attività improduttiva in un’impresa apprezzata dal mercato. Essi hanno investito i loro Tfr e si sono fatti finanziare dalle banche per riattivare lo stabilimento che produce ottima birra, in gran parte destinata all’esportazione, apprezzata nel Regno Unito, in Nuova Zelanda e in Australia.
Ci vorrebbero cento o mille iniziative come quella indicata, che farebbero crescere l’economia isolana e costituirebbero un esempio per tanti giovani e meno giovani che aspettano la Provvidenza. Provvidenza che non arriverà mai, ricordando il detto: “Aiutati che Dio ti aiuta”.

La disoccupazione italiana si attesta intorno al 12% contro una media europea del 9,6%. In Germania, è scesa al 4,7% anche per effetto dell’enorme surplus delle esportazioni, molto vicino ai 300 miliardi di euro.
La locomotiva tedesca funziona sia per le importanti riforme del lavoro dell’allora cancelliere Gerhard Schröder, effettuate negli anni 2000, sia perché gli allievi vengono immessi nel mondo del lavoro giovanissimi, dai 15 anni, e anche perché la Pa funziona rigorosamente a servizio dei propri cittadini, con la conseguenza che il tasso di corruzione è molto più basso di quello italiano.
Il marasma politico in cui si trova l’Italia non aiuta a effettuare progetti e attuazioni che consentano un deciso aumento del Pil e con esso dell’occupazione. Bisogna uscire da questo stallo andando rapidamente alle elezioni, ma con una legge omogenea di Camera e Senato che determini una maggioranza certa al termine della giornata elettorale.
Un Governo e una maggioranza forti potrebbero mettere in campo un piano di sviluppo puntato essenzialmente su investimenti, opere pubbliche, infrastrutture nel Sud, riparazione idrogeologica del territorio e ristrutturazione antisismica di milioni di immobili.
Oppure il caos trascinerà il Paese verso il basso, mentre debito pubblico e interessi sullo stesso andranno verso l’alto.

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