Aspettativa di vita sensibilmente ridotta per poveri - QdS

Aspettativa di vita sensibilmente ridotta per poveri

redazione

Aspettativa di vita sensibilmente ridotta per poveri

mercoledì 08 Febbraio 2017

Questo il risultato dello studio denominato Lifepath, secondo cui ogni persona può essere privata, in media, di 2,1 anni

in collaborazione con ITALPRESS
 
Vivere in condizioni sociali ed economiche povere, per esempio avendo un basso profilo professionale, può privare una persona, in media, di 2,1 anni di vita. Questa è la conclusione di uno studio appena pubblicato sulla rivista The Lancet da Lifepath, un progetto finanziato dalla Commissione europea con lo scopo di individuare i meccanismi biologici che stanno alla base delle differenze sociali nella salute.
Uno status socioeconomico basso può essere letale quanto fumare, avere il diabete o condurre una vita sedentaria. Il tabacco è associato alla perdita di 4,8 anni di vita, che diventano 3,9 per il diabete, 2,4 per l’inattività fisica e meno di uno per l’elevato consumo di alcol.
Quello condotto da Lifepath è il primo studio che confronta l’aspettativa di vita fra persone appartenenti a diverse categorie socioeconomiche e correla queste differenze con quelle dovute a sei ben noti fattori di rischio per la salute, come il fumo o il diabete. Fattori considerati fra gli obiettivi principali della strategia di riduzione della mortalità globale dell’Organizzazione mondiale della sanità, che però non include lo status socioeconomico.
“Ci siamo sorpresi – spiega Silvia Stringhini, ricercatrice all’University hospital di Losanna, in Svizzera, e coordinatrice dello studio – quando abbiamo scoperto che vivere in condizioni sociali ed economiche povere può costare caro quanto altri potenti fattori di rischio come fumo, obesità e ipertensione. Queste circostanze possono essere modificate con interventi politici e sociali mirati e per questo dovrebbero essere incluse fra i fattori di rischio su cui si concentrano le strategie globali di salute pubblica”.
I ricercatori del progetto Lifepath hanno raccolto e analizzato dati da 48 coorti indipendenti di Gran Bretagna, Italia, Portogallo, Stati Uniti, Australia, Svizzera e Francia, per un totale di più di 1,7 milioni di partecipanti. Lo status socioeconomico di queste persone è stato valutato sulla base dell’ultimo impiego lavorativo al momento dell’ingresso nello studio e i partecipanti sono stati seguiti per una media di tredici anni. I dati ottenuti da questa lunga fase di osservazione sono stati analizzati con appositi metodi statistici e confrontati con quelli relativi ad alcuni dei principali fattori di rischio inclusi nel piano strategico globale dell’Oms chiamato “25×25”.
“È noto – evidenzia Mika Kivimaki, professore all’University college London e co-autore dello studio – che educazione, reddito e lavoro possono influire sulla salute, ma pochi studi avevano cercato di valutare quale fosse il peso effettivo di questi fattori. Per questo abbiamo deciso di confrontare l’impatto dello status socioeconomico sulla salute mettendolo a confronto con quello di sei fra i principali fattori di rischio”.
Un basso livello socioeconomico può quindi essere un efficace indicatore di un calo nell’aspettativa di vita. Ciò nonostante, i decisori politici spesso non lo considerano fra i fattori da prendere di mira con interventi specifici. Le condizioni socioeconomiche e le loro conseguenze sono modificabili tramite politiche a livello locale, nazionale e internazionale. Intervenire su fattori “a monte”, come il lavoro o l’educazione infantile, può avere una maggiore efficacia in termini di miglioramento della salute, rispetto a interventi “a valle”, focalizzati su singoli fattori di rischio come l’assistenza per chi vuol smettere di fumare o i consigli alimentari.
“Lo status socioeconomico – conclude Paolo Vineis, professore all’Imperial college London e coordinatore di Lifepath – è importante perché include l’esposizione a diverse circostanze e comportamenti potenzialmente dannosi, che non si limitano ai classici fattori di rischio come fumo o obesità, sui quali si concentrano le politiche sanitarie”.

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