CNF, l'ignavia dei politicanti siciliani - QdS

CNF, l’ignavia dei politicanti siciliani

Carlo Alberto Tregua

CNF, l’ignavia dei politicanti siciliani

sabato 11 Febbraio 2017

I Costi del Non Fare

Cominciano a uscire le statistiche dei Costi del Non Fare (CNF). Di che si tratta? Di tutti gli investimenti che le Pubbliche amministrazioni avrebbero dovuto effettuare direttamente o indirettamente e che per ignavia non hanno fatto, lasciando tutte le iniziative nel cassetto.
È sentimento popolare che la colpa di tutto ciò sia della burocrazia, cioè di una Pubblica amministrazione inefficiente, autoreferenziale, non controllata e incapace di servire i cittadini. Tutto questo è vero. Ma ci si dimentica di scoprire la seconda parte del problema e cioè che la maggiore responsabilità di questo stato di cose è della Classe politica che, occupando posti di responsabilità nelle istituzioni dei tre livelli (nazionale, regionale e comunale), non mette in atto direttive e procedimenti affinché la Pa funzioni alla stessa maniera delle Pubbliche amministrazioni della Svezia, della Norvegia o della Francia.
Delle due l’una: o i politici sono ignoranti e incapaci, oppure sono conniventi con la Pa.
La spesa pubblica, in relazione al Pil, non è superiore a quella di altre nazioni a sviluppo avanzato come l’Italia. Il guaio è che, nella suddivisione tra spesa corrente e spesa per investimenti, quest’ultima viene continuamente ridotta perché la spesa corrente continua a mangiare indebitamente risorse senza alcuna produttività.
I diversi governi (Monti, Letta e Renzi) hanno tentato di ridurre quella bestia carnivora che mangia e non rende, nominando diversi commissari alla revisione della spesa, quello che i giornali hanno chiamato spending review. Ma quella bestia carnivora è riuscita a divorare anche tali commissari, che via via sono stati cacciati o si sono dimessi. Ricordiamo, tra gli altri, Bondi, Canzio, Cottarelli e da ultimo Gutgeld.
Sembra che la spesa corrente sia insopprimibile: è così perché coloro che la utilizzano sono i privilegiati che violano la regola etica secondo la quale ognuno dovrebbe rendere più di quanto prende. I servizi pubblici, ben riorganizzati sotto l’insegna dei valori di merito e responsabilità, costerebbero un terzo in meno e renderebbero un terzo in più. Ma per far questo ci vogliono professionisti, non burocrati.
 
Ovviamente il risparmio ottenuto della parte corrente della spesa servirebbe per gli investimenti che sono la classica leva con la quale si attiva lo sviluppo e con esso la creazione di lavoro, dipendente o autonomo, in ragione di centinaia di migliaia di opportunità.
Si continua a spingere sui cosiddetti posti di lavoro. Chi li crea i posti di lavoro? Ovviamente il settore privato perché quello pubblico è stragonfio di personale che ha raggiunto il limite incredibile di oltre 4,2 milioni di persone (3,2 milioni di dipendenti diretti e un milione di dipendenti delle partecipate pubbliche). Un corpo non organizzato ma soprattutto non controllato che fa quello che vuole e che non raffronta mai i risultati al loro costo.
A monte di questa analisi, peraltro ripetuta svariate volte, va ricordato che la Pa non ha un vero datore di lavoro, cioé colui che tiene i conti e che deve conseguire un risultato. Operazione che dovrebbero fare dirigenti e politici che li governano. Ma nessuno fa questo.

Dal quadro che precede si capisce la causa di tutto ciò che non è stato fatto, dal che derivano i CNF, cioè i Costi del Non Fare, che pian piano l’opinione pubblica comincia a percepire.
In Sicilia, per esempio, il fare poteva essere: il Ponte sullo Stretto (8 miliardi); la Tav light ME-CT-PA (5 miliardi); la Nord-Sud e la chiusura dell’anello autostradale (3 miliardi); la ristrutturazione delle Reti idriche dai bacini alle porte delle città (3 miliardi); gli impianti di depurazione (un miliardo); la costruzione di otto impianti per la produzione di energia a base di RSU (3 miliardi); la filiera del legno dalle piante alla cellulosa, fino al tavolame e simili prodotti (2 miliardi); la riparazione dei 400 siti ad alto rischio idrogeologico (5 miliardi), la ricostruzione degli 829 borghi  (5 miliardi), e via enumerando. Saremo più precisi nelle inchieste da oggi in uscita sui CNF.
Dall’approssimativo elenco indicato si capisce che se i politicanti siciliani fossero stati, invece, veri politici e avessero speso una cinquantina di miliardi, la Sicilia sarebbe diventata una regione ricca, benestante e senza disoccupazione. Utopia? No, realismo!

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