Esami semestrali: sindaci latitanti - QdS

Esami semestrali: sindaci latitanti

Francesco Torre

Esami semestrali: sindaci latitanti

venerdì 24 Aprile 2009

Trasparenza. Scarsa comunicazione sull’attività svolta.
Statuti. Prevedono l’obbligo per gli amministratori di presentare periodicamente una relazione nella civica assise, per fornire alla città informazioni sull’attuazione del proprio programma.
Responsabilità. Tanto dei vertici dell’amministrazione, che ignorano i cittadini, quanto dei consiglieri, che omettono il controllo violando i principi del loro stesso mandato

Palermo – Tre promossi, un rimandato e cinque bocciati. Potrebbe essere questa l’ipotetica pagella dei sindaci in materia di relazioni semestrali.
“Il Consiglio comunale è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo del comune”. Così stabilisce il D. Lgs. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), all’art. 42. Belle parole, non c’è che dire. Ma come attuare questa funzione di controllo, per esempio sull’operato della giunta, così come delle commissioni e dei dipartimenti? Niente di più semplice: tramite delle relazioni, semestrali e annuali, che i responsabili delle varie strutture amministrative, sindaco compreso, sono obbligati periodicamente a presentare e a farsi approvare. Un obbligo che, in attuazione a quanto stabilito da un’altra legge, la n. 7 del 26 agosto 1992, dovrebbe essere previsto anche in tutti gli statuti comunali. E qui il condizionale non è un caso.

Gli abituali lettori del Quotidiano di Sicilia, seppur sommersi dall’intricato groviglio delle vicende politiche ed economiche locali, pure una cosa semplice e chiara l’hanno capita sull’operato della pubblica amministrazione: la pressoché totale mancanza di trasparenza. Ovvero la clandestinità delle scelte sui finanziamenti, sulle somme di bilancio, sugli stipendi agli amministratori, sulle leggine a favore di quello o quell’altro amico, così come l’inutilità dei siti internet istituzionali in cui si trova tutto e niente.

Sia ben chiaro, non è nostra intenzione generalizzare e c’è sempre chi si comporta secondo le regole, cercando di operare per il bene del cittadino. Ma i nostri riscontri ci pongono di fronte ad una tara quasi di natura culturale, di cui ci occupiamo da tempo e continueremo ad occuparci per molto. In questa inchiesta, però, impariamo a scoprire che tale mancanza di trasparenza non si attua soltanto dal Palazzo, o meglio dai Palazzi del potere verso l’esterno, ma anche all’interno degli stessi palazzi. Quando infatti il sindaco di un Comune importante come Catania (Raffaele Stancanelli) o Messina (Giuseppe Buzzanca) si rifiuta di adempiere ad un obbligo previsto non solo da una legge nazionale accettata anche in ambito regionale, ma anche dal proprio statuto comunale, e parliamo della trasmissione di un documento relazionale semestrale o annuale sul lavoro della Giunta che consenta al Consiglio di svolgere la sua principale funzione, ovvero quella di controllo, ci rendiamo conto non solo di quanto tra i reparti ci sia un profondo difetto di comunicazione, ma anche che qualsiasi ruolo istituzionale è andato a perdere il proprio significato originario, diventando superfluo, non solo inutile quindi ma dannoso alla collettività.

Che senso ha, infatti, mantenere un Consiglio comunale se questo non viene portato a conoscenza delle scelte della Giunta e non può così tutelare gli interessi della comunità che rappresenta? Uno solo: mantenere uno stipendio a quei 30, 40 o 50 consiglieri che, senza protestare, accettano di veder ridicolizzato il proprio ruolo a quello di semplici spettatori della cosa pubblica. Dei comuni cittadini, dunque, ma con una differenza: l’opportunità di vivere la vita dei “Palazzi”. Come succede a quei portieri degli alberghi o quei maggiordomi delle nobili case dell’aristocrazia che sanno tutto di tutti ma non hanno alcuna voce in capitolo sulle scelte che contano. Né la pretendono perché, si sa, in un’istituzione gerarchica ognuno deve saper stare al proprio posto.

Al Comune di Siracusa (sindaco Roberto Visentin) e al Comune di Caltanissetta (sindaco Salvatore Messana), il problema delle periodiche relazioni del sindaco al Consiglio è stato risolto alla base, omettendone l’obbligo già sin dallo statuto comunale. Una palese violazione al Testo nazionale, certo, ma che evidentemente non ha mai dato fastidio a nessun consigliere, ben contento di ricevere il proprio stipendio anche senza aver svolto compiutamente il proprio ruolo istituzionale. Come quel padre di famiglia che, pur non lavorando, rientra sempre a casa con il pane per i propri figli, e questi nemmeno si chiedono se gliel’abbiano regalato o l’abbia rubato. Nei Comuni di Catania e Messina, così come in quello di Enna (sindaco Rino Agnello), lo statuto invece l’obbligo della relazione semestrale lo prevede eccome, ma chi l’ha mai rispettato?  E, del resto, quale consigliere l’ha mai preteso?

Diversa sembra la situazione al Comune di Palermo (guidato da Diego Cammarata), dove l’abitudine è di scrivere una relazione annuale che peraltro per gli anni che vanno dal 2001 al 2006 è anche possibile consultare sul sito internet dell’ente. Al momento, ci dice il capo di gabinetto del sindaco, la relazione 2008 è all’ordine del giorno del Consiglio comunale, ma di questo l’assessore con delega ai Rapporti con il Consiglio, afferma di non saperne nulla. E se non lo sa lui…

Niente complimenti, invece, ma solo una presa di atto di un’applicazione di legge meritano i tre Comuni capoluogo che alle relazioni sono avvezzi e anche alla loro pubblicazione sul sito internet istituzionale: Ragusa (sindaco Nello Dipasquale, sempre l’ente più efficiente in questi termini), Agrigento (sindaco Marco Zambuto) e Trapani (sindaco Girolamo Fazio). Qui i consiglieri prima, e i cittadini poi, hanno avuto modo di poter verificare l’operato della Giunta e darne un giudizio sulla base di scelte e cifre concrete. Che sarebbe uno dei principi fondanti di qualsiasi democrazia. Sarebbe. Anche in Sicilia.

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