"L'avvenire appartiene al passato" - QdS

“L’avvenire appartiene al passato”

Carlo Alberto Tregua

“L’avvenire appartiene al passato”

martedì 21 Marzo 2017
Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838)  fu quello che si suol dire un figlio di buona donna, ovvero un antesignano del divino Giulio, alias Andreotti, il politico di lungo corso di cui si diceva, non forse a torto, che detenesse un cospicuo archivio segreto oltre il Tevere.
Talleyrand riuscì ad essere sempre in primo piano attraverso le vicende epocali che attraversarono la Francia dal 1789, anno della Rivoluzione. Riuscì a passare dall’Ancien régime alla Rivoluzione, al Terrore, al Direttorio, all’Impero, per arrivare alla restaurazione.
Quando il 6 luglio 1815, a Parigi, fu invitato alla festa che tenne l’inglese Duca di Wellington – che aveva sconfitto l’Orco, cioè Napoleone Bonaparte, l’antecedente 18 giugno presso un piccolo villaggio belga di nome Waterloo – il Nostro era ancora sulla cresta dell’onda, indistruttibile.
Talleyrand aveva l’abilità di mimetizzarsi come un camaleonte e di ritornare in scena al momento opportuno sempre con il vento in poppa, mai contro qualcuno.

Lui era il gatto, ovvero il Diavolo zoppo, e Joseph Fouché (1759-1820), la volpe, ovvero il suo compare. Proprio il Diavolo zoppo e il suo Compare (Marsilio editori, 2015) è il titolo di un bel libro di Alessandra Necci, che consiglio di leggere perché si capisce bene come si possa stare a galla attuando continuamente la politica del tradimento.
Fouché non fu certo da meno di Talleyrand, sempre in primo piano, quasi sempre ministro, sempre sul carro del vincitore. Entrambi erano abili temporeggiatori, i quali prendevano le decisioni apparentemente in autonomia, però dopo che altri le avevano prese: cioè decisioni accodate a quelle vincenti.
Talleyrand amava ripetere: “L’Avvenire appartiene al passato”, con ciò intendendo collegare gli eventi futuri a quelli precedenti e sottolineando lo stretto legame nella successione delle cose che càpitano. Non c’è mai nulla di casuale. Ciò non significa che il futuro dipenda solo da noi. ciò che dipende dal caso, dalla combinazione di eventi, da fatti non prevedibili e quindi non previsti, in effetti è già scritto.
Questo non significa essere fatalisti e quindi abbandonarsi come se noi non potessimo fare nulla per cambiare il corso degli eventi.
 

Noi dobbiamo essere artefici del nostro futuro. Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per prevedere e conseguentemente provvedere e prevenire. Ma vi è sempre l’imponderabile e l’imprevedibile che condizionano il corso degli eventi.
Sostenere che l’avvenire appartiene al futuro è del tutto logico, come è logico sussumere le circostanze, agganciandole ad altre.
Non vi è fatto o atto che accadrà che non sia collegato a qualche altro atto o fatto che è già accaduto. ma quasi sempre dalla storia molti non traggono la morale, per cui non sembra appropriato il motto historia magistra vitae. La caduta di Napoleone fu conseguente all’invasione della Russia (1812) e dopo centoventinove  anni Hitler cadde con la campagna di Russia (1941): esattamente lo stesso errore.
Dobbiamo, dunque, tenere sempre a mente il passato, per costruire l’avvenire su quello che è capitato, ma evitando gli errori commessi dagli altri o da noi, almeno nel limite delle nostre modeste possibilità.

La Politica dovrebbe tracciare il futuro perché essa è la più alta espressione della Democrazia. Le persone umane che interpretano la politica dovrebbero essere il meglio che una Comunità riesca ad esprimere. Quando così non avviene, come in questi ultimi trenta o quarant’anni, la Politica diventa un peso e non un elemento di crescita della comunità stessa.
Si usa la solita banale uguaglianza: Classe politica scadente perché cittadini scadenti. è in parte vero perché i cittadini qualificati, cioè la Classe dirigente, dimenticano il loro dovere, ben evidente nel “Du contrat social: ou principes du droit politique” di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), secondo cui la Classe dirigente aveva il compito di guidare le classi meno abbienti, incapaci di esercitare la leadership.
Si deduce che è proprio la Classe dirigente la maggiore responsabile dell’incapacità di selezionare una Classe politica adeguata al suo incarico. Ma anche i cittadini non sono adeguati al loro compito, cioè quello di “Immischiarsi, partecipare e controllare” le istituzioni, per dirla con Papa Francesco.

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