I giornalisti cerchino verità, non notorietà - QdS

I giornalisti cerchino verità, non notorietà

Carlo Alberto Tregua

I giornalisti cerchino verità, non notorietà

giovedì 13 Aprile 2017
La funzione dei giornalisti è quella di fare informazione e formazione. Per questo abbiamo il dovere di dare l’esempio di persone probe e dignitose, anche in osservanza della Legge istitutiva dell’Ordine (l. 69/63) e soprattutto del Testo unico dei doveri dei giornalisti del 27 gennaio 2016.
La nostra Carta costituzionale, all’art. 21, prescrive che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
è vero che non abbiamo bisogno di autorizzazioni, ma subiamo spesso censure, non palesi e indirette, perché giornali e televisioni hanno padroni che non fanno gli editori puri, ma seguono altri interessi prevalenti, per cui usano l’informazione per indirizzare e non per servire i cittadini.
Il discorso che precede vale sia per la carta stampata che per radio, televisioni e rete. In quest’ultima poi c’è il caos, perché nessuno risponde per quello che scrive e tutti si sentono abilitati a digitare nefandezze.

Il nostro compito è quello di cercare la verità. Ma molti di noi, invece, cercano la notorietà. Quest’ultima è diventata un bene economico, perché più si è noti e più si viene pagati, per cui c’è la rincorsa alle ospitate in radio e televisioni, nonché le code per scrivere su quotidiani e periodici (meno).
Se ci fate caso gli ospiti sono quasi sempre gli stessi: alcuni bravi, ma molti pontificano, poggiando su una crassa ignoranza, espressa con una dialettica modesta, priva di argomentazione e di riferimento alle importanti figure retoriche.
La maggior parte degli ospiti cita dati a caso, guardandosi bene dal riferirsi alle fonti ufficiali. Usa le parole e non i concetti, parole spesso poste in sequenza senza la capacità di fare una comunicazione comprensibile e decifrabile.
Il peggio di quanto scriviamo è quando questo modo di comportarsi viene usato dai giornalisti. Non è un caso che gli editorialisti siano relativamente pochi, ben pagati giustamente, mentre la maggior parte scrive banalità e soprattutto cronaca, non controllata, come sarebbe obbligo, da almeno due o tre fonti. Senza controllo l’informazione è dannosa.
 

La ricerca della verità: ecco la faticosa via che devono percorrere i veri giornalisti. Invece di fare questa fatica, preferiscono sparare notizie con clamore, con catastrofismo che inquina l’informazione, getta nel panico le popolazioni, non ha alcunché di costruttivo e di propositivo: insomma, danno allo stato puro.
Per fortuna vi è una schiera di bravi giornalisti, che si attengono alle regole etiche e all’obbligo di fare un’informazione obiettiva, completa e controllata. Solo così l’informazione diventa formazione, che è la più grande responsabilità che hanno i giornalisti.
La gente tende ad emulare soprattutto i comportamenti negativi, quelli che fanno più clamore, o che danno notorietà, anche nei piccoli borghi, nelle piazzette dove c’è il bar nel quale si incontrano i classici quattro amici.
Sembra di essere tornati alle Baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni (1707–1793), quando le comari si passavano indiscrezioni col chiacchiericcio, attraverso cui venivano formulate calunnie di vario genere.

Sentiamo spesso personaggi, anche minimi, proclamare la loro intenzione di formulare querele. Ma se ci fate caso ne viene presentata forse una su mille. La parola querela è diventata un modo che esprime la voglia di farsi pubblicità, la quale è una sorta di illusione quando non rappresenta contenuti veri e seri.
Il nostro tempo è carico di illusioni: non è frutto di un progetto e di un obiettivo, ma solo di parole vuote e di ipotesi di terzo tipo che quasi mai, anzi mai, si realizzano.
La ricerca della verità è come la ricerca del Sacro Graal. Qualcuno dice che l’ha trovata e qualche altro che non ce l’ha fatta. La verità non è  un obiettivo fisso, ma uno stato in divenire continuo perché non è formato da pilastri e travi di cemento armato, ma di fatti che accadono, di cui non sempre si ha contezza e possibilità di verificarli.
Tuttavia, noi giornalisti abbiamo il dovere di fare il possibile per procedere ai riscontri e all’incrocio di essi per essere orgogliosi del nostro mestiere e degni di chiamarci giornalisti.

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