Il business delle miniere dismesse che la Sicilia non riesce a sfruttare - QdS

Il business delle miniere dismesse che la Sicilia non riesce a sfruttare

Rosario Battiato

Il business delle miniere dismesse che la Sicilia non riesce a sfruttare

mercoledì 19 Aprile 2017

Il modello da imitare: in Sardegna nei siti minerari 34 mila turisti all’anno e 300 mln dalle bonifiche. Nella nostra regione il maggior numero di siti in Italia (761), manca la strategia

PALERMO – Nel ventre d’Italia si annida un tesoro da risanare e offrire al pubblico pagante. Il patrimonio nazionale delle miniere dismesse, memoria storica di un certo passato industriale, è un valore aggiunto perché potenzialmente in grado di attivare risorse per il risanamento ambientale alla fine del ciclo produttivo e di rappresentare un elemento attrattivo per turisti e appassionati. Lo ha capito benissimo la Sardegna che, come racconta il Sole 24 Ore, ha valutato l’impatto di 300 milioni di euro di bonifiche e, allo stesso tempo, ha registrato numeri record di affluenza in queste ultime settimane con dati annuali da 34 mila ingressi (il doppio dell’anno precedente) e incassi per 340 mila euro. Una grande occasione anche per la Sicilia che, tra la seconda metà dell’Ottocento e fino agli Sessanta del secolo scorso, è stata la più grande produttrice nazionale di zolfo. Gli esempi interessanti esistono già, ma il potenziale a disposizione è davvero incredibile.
L’ultimo censimento dei siti minerari dismessi risale a oltre un decennio fa e fu realizzato dall’Apat (oggi Ispra) a partire dal 1870 per coinvolgere tutti siti che avevano riguardato i cosiddetti minerali solidi di prima categoria, ad esclusione dei combustibili liquidi (petrolio) e gassosi (metano), le acque minerali, termali e i fluidi geotermici.
L’Ispra ha mappato complessivamente oltre 3 mila siti su tutte le regioni italiane, tra queste spicca proprio la Sicilia (761 siti), seguita da Sardegna (438), Toscana (413) e Piemonte (378). L’elenco dei minerali più coltivati vede in prima linea lo zolfo (732), seguito da marna da cemento (405), blenda e/o galena (316).
L’azione di valorizzazione, almeno a livello nazionale, risale a molto tempo fa, considerando che già dal 2009 sono state indette le “giornate delle miniere” (l’VIII Giornata nazionale si è tenuta lo scorso maggio) e che a “cavallo fra vecchio e nuovo millennio – si legge in uno studio internazionale pubblicato dall’Ispra nel 2015 – sono stati istituiti in Italia ben 6 parchi minerari: il ‘Parco archeominerario di San Silvestro’, il ‘Parco tecnologico e archeologico delle colline Metallifere’, il ‘Parco museo minerario dell’Amiata’, il ‘Parco geominerario della Sardegna’, il ‘Parco delle miniere di zolfo delle Marche’ e il ‘Parco minerario di Floristella’ in Sicilia”. Quest’ultimo è stato il primo a essere inaugurato, dal momento che venne istituito nel 1992 in applicazione della legge della Regione siciliana 17 del 1991.
Altri esempi celebri non mancano nell’Isola. Nel sito dell’assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, si trovano, ad esempio, anche il complesso minerario di Trabia Tallarita, il parco archeologico-industriale e museo della zolfara di Lercara Friddi (attualmente chiuso, secondo quanto riportato sul portale). Secondo i dati riportati sul sito della Regione, nel 2014 il complesso minerario Trabia Tallarita ha prodotto circa un migliaio di paganti e 917 gratuiti per oltre duemila biglietti e incassi da poco più di 3 mila euro. Non ci sono numeri disponibili per gli altri siti. Un’altra iniziativa interessante, nata proprio per mettere assieme le varie realtà che hanno vissuto l’epoca d’oro delle miniere, è il distretto turistico delle miniere che collega circa 25 località, tra Agrigento, Enna e Caltanissetta.
Un altro scenario suggestivo è quello della miniera di salgemma a pochi chilometri dal centro abitato di Realmonte, in provincia di Enna, con una chiesa interamente ricavata dal sale e per questo motivo denominata “Cattedrale di sale”. La miniera di salgemma è di proprietà dell’Italkali ed è ancora attiva.

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