Morire? Pazienza ma campare al meglio - QdS

Morire? Pazienza ma campare al meglio

Carlo Alberto Tregua

Morire? Pazienza ma campare al meglio

giovedì 20 Aprile 2017
Appena si nasce comincia l’invecchiamento biologico. Non è una considerazione pessimistica, bensì la consapevolezza della realtà. I giovani non pensano che, se saranno fortunati, la vecchiaia arriverà anche per loro. Anzi, sono ansiosi perché gli sembra che il tempo non passi mai.
Eppure, bisognerebbe che gli adulti, nonni, genitori ed insegnanti, facessero capire il processo completo della vita del corpo umano e possibilmente il passaggio all’altra parte della vita, che è quella dello Spirito.
Avere cognizione di quanto accade è necessario perché ci dà il senso delle proporzioni fra bene e male, fra vita e morte. Col ché, capendo meglio le vicende, possiamo decidere da che parte stare: da quella delle persone perbene o dall’altra delle persone per male.
Dice il filosofo: non è il tempo che passa, ma noi che passiamo, con ciò intendendo che la misurazione del tempo è una convenzione e che l’alternanza fra giorno e notte esiste solo perché noi la osserviamo. ma il sole è là da miliardi di anni.

Quando si va avanti nell’età, i quarantenni cominciano a pensare che un giorno, se saranno fortunati, arriverà l’età dei cinquanta, dei sessanta, dei settanta, ed anche degli ottanta e più. Ci pensano come ad una fase lontana, invece dovrebbero cominciare a preoccuparsi per programmare l’arrivo del decennio successivo, conducendo uno stile di vita adeguato, cioè equilibrato.
Un giovane dovrebbe preoccuparsi di raggiungere lo stato di libertà: per ottenerlo, avrebbe necessità di liberarsi dei bisogni minimi, provvedendo con la propria capacità ad avere quello che gli serve e sapendo che dovrà dare di più di quanto riceverà.
Questa è la prima regola etica della vita: dare di più di quanto si riceve, perseguendo il valore della libertà. Per questo, i giovani dovrebbero essere disponibili a fare qualunque sacrificio, giorno e notte, a sudare, a impegnarsi, perché non c’è più alto valore che quello della libertà: non a parole ma sostanziale.
E poi, chi arriva a cinquant’anni dovrebbe cominciare a prepararsi ai sessanta; chi arriva ai sessanta dovrebbe pensare ai settanta. Dopodiché si è nella terza e forse si entra nella quarta età.
 

Quando si arriva a sessant’anni, chissà perché, alla gente viene la mania di pensare al momento in cui andrà in pensione, come se fosse una liberazione del proprio lavoro in quanto opprimente e limitativo della propria attività. Fatti salvi i lavori usuranti, per i quali bisogna fare valutazioni diverse, l’attività lavorativa è una benedizione, in quanto vi si dovrebbe profondere ogni propria energia, alternandola con i periodi di svago o di riposo che sono certamente necessari.
Tuttavia, svago o riposo, non significa spegnere il cervello, il quale proprio in quei periodi si attiva di più perché non è onerato della attività ordinaria. Quindi, diventa inventivo, riflette sul passato, sui propri errori, su quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto. poi, pensa al futuro, ma non in modo egoistico, bensì a quello della collettività nella quale  vive, ricordandosi che la propria casa non è quella in senso stretto, ma il condominio, le strade, le piazze, l’ambiente in cui viviamo, cui noi dobbiamo dare un contributo.

Diceva Dario Fo, il premio Nobel italiano, scomparso di recente a poco più di novant’anni: “Io vecchio? Mai”. Tre libri in pochi mesi, conferenze, spettacoli, pitture, interviste, con un’intelligenza viva ed interessata a tutto quanto lo circondava.
I vecchi hanno una mentalità ottusa, perché non accettano il nuovo, perché sono pessimisti e ostili alle diversità, mentre bisogna essere sempre non giovanili come qualcuno afferma ma presenti nella realtà, avere inventiva, progettare come se si dovesse vivere mille anni, sapendo che si può morire un attimo dopo.
Grandi vecchi, scrive Giampaolo Pansa nel suo “Vecchi, folli e ribelli” (Rizzoli, 2016): Cesare Romiti, ex ad Fiat (93 anni); Giuseppe Sgarbi, scrittore (95 anni); Gianrico Tedeschi, attore (96 anni). Oggi la più anziana del mondo è la giamaicana Violet Brown, dopo la dipartita di Emma Morano, 117 anni, nata nel 1899, cioè tre secoli fa, ancora lucida e pensante.
È il cervello che mantiene vivo il corpo e lo aiuta ad affrontare gli inevitabili acciacchi del suo procedere.
Vivere costa fatica, ma è un giusto prezzo che va pagato, perché di gratis non c’è che la morte.

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