No alla minerale, aprite i rubinetti - QdS

No alla minerale, aprite i rubinetti

Rosario Battiato

No alla minerale, aprite i rubinetti

venerdì 21 Aprile 2017

Le responsabilità della politica: nell’Isola una famiglia su tre lamenta irregolarità nell’erogazione del servizio idrico. L’acqua del sindaco è di buona qualità, ma la metà dei siciliani non si fida

PALERMO – Gli isolani hanno una risorsa economica e sostenibile in casa, ma preferiscono, in molti casi, farne a meno. Il consumo dell’acqua a chilometri zero, la cosiddetta acqua del sindaco o semplicemente l’acqua del rubinetto, resta inferiore alla media nazionale, perché i siciliani non si fidano. Merito di un “sistema” di gestione che non sempre garantisce la continuità del servizio né la giusta tutela di una risorsa che andrebbe, oltretutto, maggiormente favorita con adeguate opere di sensibilizzazione. Anche per queste ragioni i siciliani preferiscono rivolgersi altrove. All’acqua in bottiglia, in particolare.
L’acqua minerale è una passione tutta italiana. Nel 2015, stando ai dati Istat diffusioni in occasione della giornata mondiale dell’acqua, mediamente una famiglia spende al mese 10,27 euro per l’acquisto della minerale, su un totale di quasi 2.500 di spesa mensile per consumi finali di beni e servizi. Il dato relativo alla spesa per l’acqua in bottiglia è risultato lievemente in crescita rispetto all’anno precedente (+3,7%), mentre la crescita complessiva della vendita nel settore è stata dell’8%.
A fornire i dati in dettaglio è stato l’ultimo rapporto Bevitalia di Beverfood (il portale sul mondo del beverage), pubblicato lo scorso anno. Nell’annuario di riferimento del mondo delle bevande si registra che le acque naturali non gassate rappresentano il 71% del totale dei volumi della moderna distribuzione, seguite dalle acque gassate (12,4%), effervescenti naturali (11,3%) e leggermente gassate (5,3%). In termini di ripartizione per aree geografiche è il Nord Ovest a prendersi la fetta più determinante (28,9% a volume e 30,6% a valore) seguito dal Sud (ad esclusione della Sardegna) con dati appena più bassi (27,8% a quantità e 23,7% a valore). Complessivamente i volumi veicolati dalla distribuzione “rappresentano all’incirca il 70% dei consumi totali – si legge in una nota di Beverfood  – che per lo stesso periodo possono essere quindi stimati intorno ai 12,2 miliardi di litri” e in questo senso i consumi pro capite dovrebbero essere superiori ai 200 litri/anno.
Dall’altra parte ci sono i consumi di acqua dal rubinetto che restano abbastanza variegati. Complessivamente, stando alla ricerca “Consumo di acqua potabile presso la popolazione italiana”, commissionata dall’associazione “Aqua Italia” (associazione costruttori trattamenti acque primarie) all’Istituto telesurvey research e pubblicata lo scorso anno, il 71,8% degli italiani sceglie l’acqua a chilometri zero e un italiano su due dichiara di berla “sempre o quasi sempre”. Insomma, l’acqua del sindaco sembra guadagnare terreno, ma non è così ovunque. Il nord est, infatti, è l’area più predisposta nei confronti dell’acqua di casa (consumo abituale al 62,7%), mentre il dato più negativo si è registrato nel Sud e in Sicilia dove soltanto il 33,4% ha dichiarato di berla quotidianamente.
Perché esiste questa disparità? Le ragioni sono molteplici, almeno per quanto riguarda i siciliani. Lo scorso anno il 9,4% delle famiglie italiane ha lamentato un’erogazione irregolare dell’acqua, registrando una tendenza positiva a livello nazionale (14,7% nel 2002), ma anche larghe fasce di criticità. In Sicilia, infatti, il 29,3% delle famiglie, cioè 3 su 10, ha lamentato irregolarità nel servizio e questa tendenza sembra particolarmente veritiera. Lo dicono i dati: 182 giorni di sospensione del servizio nell’intero territorio comunale di Agrigento, 42 giorni a Messina. Nel 2015 per 365 giorni a Palermo si sono avute giornate di riduzione o sospensione del servizio su parte del territorio, mentre a Caltanissetta per oltre due settimane (dati Istat). Merito di infrastrutture pessime: perdite di rete oltre la media nazionale per sette comuni capoluogo su nove con Palermo, Catania, Messina e Agrigento che superano il 50% (dati Istat).
In alcuni casi, pertanto, l’acqua minerale non è una scelta, ma una necessità. Lo scorso anno un rapporto della Cisl aveva stimato in 300 euro il costo medio annuo per ogni famiglia nissena, registrando la provincia di Caltanissetta come quella con il più elevato consumo di acqua in bottiglia (l’83% delle famiglie dei comuni la acquista per cucinare e per bere).
Per i sindacalisti le ragioni sono nei disservizi più che quotidiani, come la turnazione nel consumo, ma anche per i divieti dei sindaci in merito alla distribuzione a fini potabili dell’acqua. Quest’ultimo dato, in particolare, si estende anche al resto del territorio isolano. Infatti, se in Italia soltanto il 29,9% dichiara di non fidarsi dell’acqua di rubinetto (40% nel 2002), la percentuale nel 2016 è ancora molto elevata nelle regioni del mezzogiorno e “raggiunge il 63% in Sardegna, il 57% in Sicilia, il 46,5% in Calabria e il 35,1% in Molise”, riporta l’Istat.
Eppure l’acqua del rubinetto, ma anche delle fontane pubbliche, in linea di massima è assolutamente adeguata all’uso umano. Del resto è possibile verificarne la qualità attraverso le varie società che gestiscono il servizio e che effettuano delle analisi così come previsto dalla legge. Per la provincia di Catania, ad esempio, l’Acoset ha fornito sul proprio sito tutti i dettagli relativi alle analisi dell’acqua nei vari comuni con risultati aggiornati al 2016.
A garantire la possibilità di utilizzo per uso umano c’è “un esteso sistema di controlli – si legge sul sito del ministero della Salute – da parte dei gestori dei servizi idrici e delle Autorità Sanitarie”. A vigilare ci sono anche i sindaci che rilasciano le ordinanze di divieto di consumo per uso potabile, ma generalmente è possibile attestare che le acque sono conformi ai parametri di controllo ordinario (circa l’80% della copertura nazionale). La conferma è arrivata anche in uno studio di Altraeconomia che, nel 2015, ha analizzato l’acqua potabile di 35 città italiane. Le rilevazioni su Catania (via Cantarella) e Palermo (via Notarbartolo) hanno ottenuto giudizio “buono” su cinque livelli differenti (ottimo, buono, accettabile, mediocre, pessimo).
 

 
Così l’acqua potabile arriva nelle nostre case
 
PALERMO – Gli ultimi dati sul prelievo di acqua per uso potabile dell’Istat risalgono al 2014 e fanno riferimento ai numeri registrati due anni prima. Il prelievo totale in Italia dalle varie fonti (sorgente, pozzo, corso d’acqua, bacino artificiale, acque marine o salmastre) vale 9,4 miliardi di metri cubi con una netta preponderanza da sorgente (3,9 miliardi) e da pozzo (4,5 miliardi).
La Regione più assetata è la Lombardia (1,5 miliardi), seguita da Campania (952 milioni) e quindi da Sicilia e Veneto (entrambe appaiate intorno a 714 milioni). Per l’Isola, considerando anche l’elevata quantità che si perde nelle reti di distribuzione (poco più del 50% è erogato, il resto si disperde), si tratta comunque di un dato di un certo peso che vale il 7,5% del totale nazionale. Ed è un dato in crescita rispetto all’ultima rilevazione del 2008 con un balzo in avanti del 14,1%. La porzione principale arriva dal pozzo (419 milioni di metri cubi), seguito dalla sorgente (169 milioni) e quindi dal bacino artificiale (113 milioni).
Fuori dal podio si trova in Sicilia una tipologia che è quasi unica in Italia (l’eccezione è la Toscana) come la dissalazione delle acque marine o salmastre (6,8 milioni). L’Isola vale l’86,2% dell’acqua dissalata a livello nazionale. Ultima postazione è riservata al corso d’acqua con 4,6 milioni di metri cubi. Dell’acqua prelevata ad uso potabile, cioè 714 milioni di metri cubi, la potabilizzazione ha riguardato 161 milioni di metri cubi, cioè il 22,6%.
 

 
Consumo umano, obblighi stringenti per l’erogazione
 
PALERMO – La qualità dell’acqua destinata al consumo umano è disciplinata dal Decreto Legislativo n.31 del 2001, che recepisce la Direttiva 98/83/CE, e che si “applica a tutte le acque destinate all’uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, sia in ambito domestico – si legge sul portaleacque.salute.gov.it – che nelle imprese alimentari, a prescindere dalla loro origine e tipo di fornitura”.
In particolare la dizione “qualità dell’acqua destinata al consumo umano” fa riferimento, oltre all’uso potabile, anche “al contatto dell’acqua con il corpo umano durante le varie pratiche di lavaggio, tenendo conto sia della popolazione media, adulta e sana, che delle fasce sensibili quali bambini, anziani ed ammalati”.
In tal senso tutte le acque messe a disposizione del consumatore, e quindi rispettose della valutazione di “idoneità” dell’acqua, devono rispettare dei valori previsti all’interno del decreto. I parametri sono “fondati sugli orientamenti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità e sul parere del comitato scientifico della Commissione Europea, mentre, valori più restrittivi e parametri supplementari, ad es. ‘clorito’ e ‘vanadio’, sono determinati dall’Istituto Superiore di Sanità, sentito il Consiglio Superiore di Sanità”. I siciliani, pertanto, possono stare sicuri, l’acqua del rubinetto è sufficientemente controllata.

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