Gli Stati generali passerella di parole - QdS

Gli Stati generali passerella di parole

Carlo Alberto Tregua

Gli Stati generali passerella di parole

venerdì 12 Maggio 2017

Gli errori che nella storia si ripetono

Quando non sanno cosa fare, convocano gli Stati generali per dare una parvenza di autorevolezza a un fiume di parole che sistematicamente rimane nell’ambiente in cui viene pronunciato.
A parte il confronto fra i partecipanti – Organizzazioni imprenditoriali e sindacali, Ordini professionali, Dirigenti pubblici e così via -, a parte le belle promesse e le belle proposte, tutte degne di andare in bacheca, dall’indomani i risultati vanno vicino allo zero.
Nel mondo della comunicazione tanta gente ritiene che sia sufficiente comunicare, per informare o indirizzare l’opinione pubblica, in modo da averne un ritorno in termini di notorietà. Purtroppo, i cittadini abboccano all’amo e si appropriano di argomentazioni finalizzate a se stesse, perché di concreto non c’è nulla.
I politicanti senzamestiere furbacchioni continuano a fare promesse, a illustrare iperbolici disegni e, contemporaneamente, scaricano la colpa del non realizzato su coloro che li hanno preceduti. Anche se in qualche caso sono essi medesimi: ma tanto la gente non ricorda, perché non memorizza quanto sente.

I cittadini non memorizzano perché non hanno cultura e quindi non collocano le informazioni che sentono attraverso i media in un archivio del proprio cervello, collegandole ad altre informazioni del passato e cercando di farsi un’idea degli argomenti in questione.
In altre parole, le persone non colte non hanno l’abitudine di memorizzare, cosicché facilitano gli imbonitori che, quando ripetono questioni già dette in precedenza e regolarmente non mentenute, credono si tratti di novità.
Ma non c’è nulla di nuovo a questo mondo, a eccezione dell’innovazione dei processi (non ci riferiamo a quelli giudiziari), perché la conoscenza nel suo complesso progredisce molto lentamente, per quanto costantemente.
È il rapporto fra chi parla e chi ascolta che è falsato, perché non basato di solito sulla verità ma su ipotesi, spesso fantasiose e irreali. Ma tanto la gente credulona e i blablatori hanno vita facile nell’imporre, anche per quel solo momento, tesi destituite di fondamento.
 

Stati generali: tutti li proclamano, ma pochi sanno da dove essi derivino. Il primo a convocarli fu niente di meno che Filippo il Bello (1268–1314) nel 1302. Essi erano composti da clero, nobili e borghesia: ovviamente la plebe era esclusa. Servivano al monarca come sostegno nella lotta contro Bonifacio VIII (1230–1303), il quale riteneva che i poteri del re derivavano da Dio attraverso il pontefice, mentre il re fece stabilire che il suo potere proveniva sempre da Dio, ma senza la mediazione papale.
Famosi sono gli Stati generali convocati in Francia dal re Luigi XVI (1754–1793) per il 4 maggio del 1789 con l’obiettivo di approvare una serie di riforme: eliminare i privilegi di aristocrazia e clero, tagliare gli sprechi della corte, fare la riforma fiscale, spingere lo sviluppo economico, risolvere la crisi agricola. In quegli Stati generali erano eletti i rappresentanti del popolo, ovviamente con quei metodi arcaici e non controllati dell’epoca.
Scorrendo l’elenco delle succitate riforme, vediamo che a distanza di 228 anni, ai nostri giorni non è cambiato nulla, perché i governi che si sono susseguiti hanno tentato di mettere in cantiere riforme analoghe, ovviamente adattate ai nostri tempi, peraltro senza riuscirvi.

Come tutti sanno, l’intenzione del sovrano francese fu rovesciata dalla realtà, perché da quel momento il popolo convocato davanti a Versailles, e spinto dai borghesi, cominciò la rivoluzione che si manifestò il 14 luglio (attuale data della festa della Repubblica francese) con la decapitazione del re e della sua consorte Maria Antonietta, figlia della regina d’Austria Maria Teresa.
Maximilien Robespierre (1758-1794) spinse fin dal primo momento per l’esecuzione del sovrano, ritenendo che un’eventuale assoluzione durante il processo avrebbe vanificato la Rivoluzione. Essa, infatti, non aveva per oggetto l’assoluzione o la condanna della famiglia reale, bensì la sua eliminazione.
Questo piccolo scorcio di storia ci insegna che non insegna nulla, perché fatti e circostanze si ripetono e le persone commettono gli errori già commessi dai loro predecessori.

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