Antonio Tajani: Ue, investire per crescere - QdS

Antonio Tajani: Ue, investire per crescere

Paola Giordano

Antonio Tajani: Ue, investire per crescere

sabato 20 Maggio 2017

Forum internazionale del Quotidiano di Sicilia, ospite a Bruxelles del presidente del Parlamento europeo. Dall’immigrazione al turismo, il ruolo della Sicilia all’interno dell’Unione

Il direttore del Quotidiano di Sicilia ha avuto l’onore e il piacere di incontrare e intervistare in esclusiva, a Bruxelles, il neo presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani.
Presidente, iniziamo subito con un argomento scottante: i migranti. Sembra esserci una svolta su questa materia e si sta iniziando a discutere della limpidezza di tutte le attività relative al fenomeno migratorio. Si parla poco, però, del fatto che, a differenza dell’Italia e della Sicilia in particolare, le altre nazioni del Mediterraneo di fatto non accolgono nessuno. Il Parlamento europeo avverte un cambiamento di clima su questa materia?
“Avverto un cambiamento di clima sulla questione immigrazione e sulla strategia da adottare. La mia impressione è che si parli molto spesso della cronaca e poco della strategia: è come se invece di fare una nuova strada si vada a tappare le buche di quella vecchia. Tutto quello che si fa ogni giorno, per carità, va benissimo: sulla questione delle Ong è giusto indagare per capire se ci sono state persone che hanno lucrato sui migranti, è giusto che ci siano indagini della Magistratura e che queste facciano il loro corso. È giusto, insomma, che si accendano i riflettori sulla questione. Io però ho una preoccupazione più grande, che riguarda i prossimi anni: se non interveniamo subito, ci ritroveremo a far fronte a una grande emergenza, perché avremo da accogliere milioni di persone. Adesso ci preoccupiamo se sono 2.500 o 3.500, ma se non interveniamo in Africa, e in particolare nell’Africa Sud-sahariana, avremo a che fare con milioni di persone che si sposteranno dal Sud del mondo verso il Nord. La Sicilia, insieme all’Italia meridionale, la Spagna, la Grecia e Malta non saranno in grado di affrontare l’emergenza. Perché dico questo? Perché a causa del cambiamento climatico il deserto del Sahara si ‘mangia’ chilometri e chilometri di terra coltivata, quindi continueranno a esserci milioni di persone che si sposteranno da lì. L’organizzazione terroristica di Boko Haram continua a imperversare nei territori dell’Africa occidentale, seminando terrore; in Congo la situazione è preoccupante; in Niger pure; in Nigeria, nonostante i recenti progressi, la situazione resta drammatica; in Costa d’Avorio il quadro economico è critico; la Somalia, se ne parla spesso, oltre alle guerre ha il grave problema della siccità; l’Etiopia pure non è che goda di ottima salute. Considerando questo complicato scenario, se non interverremo con una strategia a lungo termine, ci troveremo tra qualche anno milioni di persone che saranno costrette a fuggire da casa loro. L’Unione europea sta già investendo 30 milioni di euro per fare dei campi di accoglienza nel Sud della Libia. Campi di accoglienza che però non saranno campi profughi, ma vere e proprie città temporanee dove ci saranno alimenti per i bambini, medici, ospedali e sicurezza: lì l’Europa, e anche l’Onu ma in primis l’Europa essendo direttamente interessata, dovrebbe inviare forze militari che impediscano ai trafficanti di esseri umani di andare a prendere le persone. Si parla spesso dei morti che ci sono nel Mediterraneo, ma ci sono tanti morti anche nel deserto del Sahara: si tratta, ahinoi, di due cimiteri. Il Parlamento europeo sta approvando anche il piano del commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos sugli aiuti da dare, però serve una strategia costante. Stiamo facendo anche la riforma del Trattato di Dublino e questo è già un passo importante verso il cambiamento. È necessario anche fare degli accordi a livello bilaterale con la Libia, e promuovere questa tipologia di intesa anche con gli altri Paesi. Fu sciagurata l’idea di uccidere Gheddafi pensando che il giorno dopo sarebbe nata, come d’incanto, una nuova guida al posto del dittatore l’House of Lords. Oggi invece di Gheddafi sono arrivati i fratelli musulmani, che si stanno rivelando molto peggio. Adesso bisogna recuperare una situazione con grande fatica per riportare la pace: serve un grande sforzo diplomatico e questo si può fare solo investendo molti soldi. Lo può fare soltanto l’Europa, perché l’Italia da sola non ce la può fare”.
C’è quindi un cambiamento di umore rispetto a questa complessa questione?
“Il cambiamento di umore c’è e lo stiamo anche provocando. Posso anticiparvi una notizia che non è ancora uscita e cioè che il 20 e il 21 giugno, ovvero prima del Consiglio europeo, cioè l’Unione dei Capi di Stato e di Governo che dovrà decidere sull’immigrazione, sto organizzando un grande evento istituzionale qui in Parlamento sulla questione dell’immigrazione, per far capire al Consiglio che il Parlamento chiede soluzioni concrete e non soltanto dichiarazioni di principio. Prima, anche in vista di questo, ho invitato a parlare in aula al Parlamento europeo il segretario generale delle Nazioni unite e il presidente della Commissione africana, che sarebbe la figura corrispondente al presidente della Commissione europea, per cominciare ad affrontare concretamente la questione dell’immigrazione, che è una delle tre priorità che noi dobbiamo affrontare e risolvere se non vogliamo che aumenti il populismo. Perché questa, insieme al terrorismo e alla crisi economica, è uno dei tre temi, delle tre priorità sulle quali noi dobbiamo far capire ai cittadini che le istituzioni si stanno muovendo nel loro interesse”.
 

 
L’elezione di Macron contro l’avanzare del populismo e le opportunità della Sicilia per avvicinarsi all’Europa

L’elezione di Macron in Francia può aiutare l’Europa nel cambiamento che le è richiesto? Come è stata vista la sua elezione qui in Parlamento?
“Macron ha rappresentato lo stop a un populismo che non aveva ricette, tant’è che anche in Francia il Front national sta esplodendo perché, evidentemente, mancavano loro soluzioni. Lo stesso Le Pen padre ha dichiarato, in un’intervista rilasciata qualche giorno fa, che la figlia ha sbagliato a improntare la campagna elettorale contro l’Euro. Lui, che non è di certo un pericoloso filo-Merkel o il fratello di Monti, ha detto: ‘Mia figlia ha sbagliato a fare la campagna contro l’Euro perché la gente si è spaventata’. È facile dire che si stava meglio quando si stava peggio, ma se non ci fosse stato l’Euro come sarebbe la nostra economia? Come avremmo retto allo scontro con il resto del mondo? Se non ci fosse stato l’Euro, la cui stabilità era garantita dalla Germania, Draghi avrebbe potuto fare il Quantitative easing? La realtà è che non sarebbe stato possibile immettere soldi nel mercato se non ci fosse stato qualcuno che garantiva. Io sono sempre dell’idea che con i tedeschi bisogna fare il muso duro, però non tutto quello che accade è colpa loro”.
Quali strategie dovrebbe adottare la Sicilia per recuperare il gap con resto d’Europa?
“Uno dei problemi principali della Sicilia è sicuramente la disoccupazione giovanile. Per dare lavoro ai giovani siciliani, l’Isola deve puntare molto di più su industria creativa e turismo, su innovazione e digitalizzazione. Io mi sono battuto per far aprire l’aeroporto di Comiso: all’inizio vi fu tanta guerra contro questo progetto da parte dell’aeroporto di Catania, di Alitalia. Io ho sempre sostenuto che più aeroporti ci sono e meglio è. Lo scalo di Comiso non toglie passeggeri a quello di Catania: i passeggeri etnei, di fatti, sono aumentati, mentre Comiso viaggia verso l’obiettivo dei 500 mila transiti e questi porteranno un indotto non indifferente all’economia siciliana. Quando feci il convegno per spingere sulla realizzazione del progetto, visto che l’aeroporto di Comiso fu costruito con i fondi europei, Alitalia non mandò nessuno ma poi, rendendosi conto delle opportunità che tale progetto poteva offrire, hanno programmato dei voli. Più in generale, con i 5 miliardi di fondi strutturali sui quali può contare la Sicilia, si potrebbero attuare tanti progetti, a partire dalla digitalizzazione dei Parchi archeologici per esempio”.
 

 
Gli scenari che si sono aperti a seguito della Brexit e la trattativa che metterà di fronte Unione e GB

La trattativa con la Gran Bretagna per l’uscita dall’Unione europea, che tutti pronosticano come dura, durissima, sarà effettivamente così difficile? O alla fine si raggiungerà un accordo?
“Una trattativa non deve essere né dura, né morbida. A me tutte queste cose non piacciono, l’ho detto anche a Teresa May. Per me la trattativa deve essere una trattativa. Bisogna essere molto pragmatici: noi difenderemo i nostri interessi, loro difenderanno i loro. Per quanto riguarda il Parlamento, la priorità numero uno è la tutela dei diritti dei tre milioni di europei – dei quali 500 mila italiani – che vivono in Gran Bretagna: devono avere domani gli stessi diritti che hanno oggi. Lo stesso discorso varrà per i britannici che vivono nell’Unione europea. Quindi, prima vogliamo chiudere il quadro della separazione, poi cominceremo a trattare su come saranno le nostre relazioni con questo Paese il giorno dopo. C’è una preoccupazione, però, che è quella dell’Irlanda del Nord e in particolare della zona di frontiera tra le due Irlande, perché lì, dopo la guerra civile, sono arrivati a una pace che tutt’oggi è difficile. È una situazione delicata e bisogna essere molto attenti. Tenuto conto di tale contesto, il passo successivo sarà quello di regolare i rapporti tra noi e loro”.
È vero che l’Unione europea ha 100 miliardi di credito con la Gran Bretagna? Se è vero, perché si sono accumulati questi crediti?
“Gli Stati membri ogni anno devono contribuire al bilancio, quindi la Gran Bretagna deve ogni anno versare quello che versano tutti gli altri Stati membri. Tali fondi non vanno a un entità straniera, ma sono risorse che ritornano in termini di politica agricola, di fondi strutturali, alla Scozia, di ricerca Orizzonte 2020, solo per citarne altre. Loro hanno versato la loro parte ogni anno”.
 

 
La flessibilità è indebitamento sulle spalle dei giovani. Servono investimenti per rimettere in moto l’economia

Sulla questione della crisi economica sembra vi sia un nuovo approccio rispetto a quelli più recenti. Tutti continuano a dire “vogliamo l’Europa, però un’altra Europa” e in quest’ottica, il Parlamento europeo ha una funzione primaria che è quella di fare le leggi. Quali sono le strategie a riguardo?
“Un’altra Europa non basta chiederla, bisogna anche lavorarci per cambiarla. Noi, i Paesi del Sud in particolare, abbiamo un ruolo importante in quest’ottica. Il Parlamento fa le leggi e quindi deve far ascoltare la propria voce, la voce di tutti i Paesi, anche degli Stati del Sud. Con la Brexit, l’Italia e la Spagna devono assumere un ruolo certamente più importante e non può essere più soltanto l’asse franco-tedesco a stare all’avanguardia e a tirare il gruppo. Visto che si parla tanto di Giro d’Italia in questi giorni, ci vogliono quattro Nibali, non basta soltanto la Merkel che fa Nibali, ne servono altri tre, che sono la Francia certamente, l’Italia e la Spagna adesso che non c’è più la Gran Bretagna. Inoltre, ci sono le istituzioni comunitarie, che devono spingere affinché l’Europa abbia un ruolo di prim’ordine nello scenario mondiale. Non commettiamo l’errore di dire che la flessibilità basta perché non deve diventare la scusa per non fare niente. In Italia per esempio abbiamo un debito pubblico enorme: noi non possiamo continuare a risolvere i problemi facendo leva sul debito pubblico, che poi aumenta e ci sono gli interessi da pagare”.
Non trova che quella della flessibilità sia soltanto una strategia mediatica? In sostanza, significa indebitamento, vuol dire firmare altre cambiali…
“Un’analisi concisa, ma che sintetizza perfettamente la questione. Quando ero commissario firmai con Olli Rehn, quando all’epoca c’era Barroso presidente della Commissione, un documento con cui concedevamo all’Italia la possibilità di sforare il tetto del 3% per pagare i debiti che la Pubblica amministrazione ha con le imprese, vale a dire: tu Pubblica amministrazione paghi i debiti e rimetti in circolazione denaro. Diventava un caso eccezionale previsto dal Trattato per cui tu puoi sforare il tetto del 3% per pagare quei debiti e rimettere i soldi in circolazione. In quel caso la flessibilità è giusta, ma se flessibilità è uguale a fare un po’ come mi pare non va bene, perché in fin dei conti il debito pubblico lo paghiamo noi cittadini. Così vengono risanati i debiti pubblici e si può intraprendere una politica della crescita. Perché ho insistito sul pagamento dei debiti? Chiedete agli imprenditori siciliani quanto tempo ci mettono per essere pagati dalle amministrazioni: 210, 240 giorni! La norma europea prevede una tempistica non superiore ai 30 giorni. Ho fatto una battaglia quando ero commissario, ho aperto io la procedura d’infrazione contro l’Italia nel 2014 dopo averli avvisati centinaia di volte”.
Tale procedura è ancora in atto?
“Sì, certo, la procedura è rimasta aperta, sta andando avanti”.
L’altra flessibilità potrebbe essere quella per gli investimenti, però neanche questo viene fatto, no?
“La risposta è nella domanda: non si può usare la flessibilità come una scusa, ma deve essere finalizzata a far crescere l’economia e non far aumentare il debito pubblico, perché il debito pubblico, forse la gente non se ne rende conto, è sulle spalle di ogni cittadino e sarà sulle spalle dei nostri figli. Perché avevo detto di applicare sul pagamento dei debiti pregressi, che ammontavano a circa 100 miliardi, la flessibilità prevista dal Trattato? Perché se tu metti in circolazione 100 miliardi fai aumentare i consumi, su quei consumi viene pagata l’Iva e di conseguenza arrivano anche soldi nelle casse dello Stato. Quindi è una flessibilità finalizzata alla crescita ma anche ad avere più tasse, perché se tu dai a un’impresa quanto gli spetta, quella paga gli operai, gli operai vanno a comprare la cucina nuova o lo scaldabagno nuovo e investono, su quella cucina pagheranno l’Iva che verrà incamerata dallo Stato. Così rimetti in moto l’economia, quindi in quest’ottica la flessibilità ha un senso”.

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