Il primo cruccio è sempre la depurazione
La scorsa settimana la Commissione europea ha inviato all’Italia un “parere motivato”, l’ultimo avvertimento prima del deferimento alla Corte Ue di Giustizia e il conseguente rischio sanzioni, per non aver assicurato l’adeguato trattamento e la raccolta delle acque reflue in ben 758 agglomerazioni urbane con più di 2.000 abitanti per 18 regioni coinvolte. La Sicilia si prende il record nazionale con ben 175 agglomerati coinvolti. Si tratta della procedura 2014_2059, l’ultima delle tre che riguarda la violazione della direttiva 1991/271/CEE, relativa al trattamento delle acque reflue urbane. Le altre due si trovano in una fase più avanzata: la 2009_2034 è già in sentenza (causa C-85/13) e la 2004_2034 (causa C-565/10) in decisione ricorso (dati eurinfra.politichecomunitarie.it). La Sicilia è coinvolta anche in queste due con 5 agglomerati su 35 nella prima e 51 agglomerati su 80 nella seconda.
Nel 2012 il Cipe aveva stanziato oltre un miliardo di euro per gli interventi nell’Isola, ma gli affidamenti sono andati a rilento e la spesa è stata minima. La nomina di un commissario straordinario come l’assessore Vania Contrafatto ha certamente portato dei benefici, ma non devono essere stati sufficienti per il governo romano che con un decreto di fine 2016 ha voluto la nomina di un commissario unico nazionale, stabilendo di fatto la cessazione dell’incarico dei vari commissari nominati nelle regioni del Sud.
Stando a quanto riportato da Repubblica Palermo all’inizio di aprile, Vania Contrafatto ha consegnato a Enrico Rolle, l’uomo che dovrà prendere in mano le redini della depurazione, il malloppo con il quadro della situazione: 900 milioni di euro programmati e appena un terzo cantierabili nel corso del 2017.
L’assenza di infrastrutture adeguate si riflette in pieno anche nei buchi della rete idrica regionale. L’Istat, che nei giorni scorsi ha pubblicato gli indicatori per gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite, ha censito l’efficienza delle reti di distribuzione dell’acqua potabile che nell’Isola sono passate dal 63,8 al 54,4% (1999-2012), “merito” di perdite di rete con percentuali di volume totale disperso su quello complessivamente immesso nella rete che sono superiori al 50% a Palermo, Messina, Agrigento e Catania e Ragusa, e con 3 famiglie su 10 che lamentano disservizi nella distribuzione.
Un servizio che costa caro
L’ultimo report di Cittadinanzattiva ha registrato una media delle tariffe siciliane più basse di quelle nazionali (345 contro 376 euro), ma con picchi particolarmente rilevanti. A Caltanissetta ed Enna, due comuni che rientrano tra quelli nelle condizioni più critiche, si superano i 500 euro all’anno, ma anche Agrigento, altro comune nel mirino dei cittadini per i disservizi nella distribuzione, arriva a 446 euro. Valori che superano di gran lunga la media nazionale e regionale.
Incapacità di legiferare
Intanto l’attenzione si è spostata sull’aspetto gestionale. All’inizio di maggio è arrivata la sentenza della Corte costituzionale che ha segnato di rosso alcuni dei passaggi più rilevanti della riforma licenziata dall’Ars due anni fa (lr 11 agosto 2015, n.19), cassando 11 commi di 5 articoli (3, 4, 5, 7 e 11) relativamente alla gestione del servizio idrico integrato e alla tariffa del servizio idrico integrato.
“La Corte costituzionale ha dunque ribadito, anche nei confronti della Regione siciliana – si legge nella circolare del 18 maggio dell’assessorato regionale dell’Energia – che le forme di gestione e le modalità di affidamento al soggetto gestore, nonché la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato, rientrano nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente, fermo restando, anche per il legislatore statale, il rispetto della normativa comunitaria”.
Per Crocetta “non serve una nuova legge” e per l’assessore Contrafatto si sta “definendo la valutazione sulle norme che hanno passato il vaglio della Corte Costituzionale, non è necessario tornare in aula”. Conferma arrivata dalla circolare dell’assessorato: “il venire meno delle disposizioni dichiarate incostituzionali non comporta vuoti normativi che rendano necessario un nuovo intervento del legislatore regionale”.
Il governo ha riferito anche dell’istituzione di una commissione per la verifica della convenzione quarantennale con Siciliacque, la società mista che nel 2001, quando venne pubblicato l’avviso pubblico europeo per la ricerca del partner privato a cui cedere il 75% del pacchetto azionario, è stata aggiudicata da un raggruppamento temporaneo di imprese con Enel mandataria e partecipato, tra gli altri, da Vivendi (oggi Veolia) che avevano proposto un piano di investimenti quarantennale da 580 milioni di euro (fonte siciliacquespa.it).
Per Maggio “occorre fare presto per dare risposte concrete ai cittadini che spesso sono costretti a pagare tariffe troppo alte e con un servizio non proprio efficiente”.
Un percorso che resta tuttora valido, ma congelato dalla lentezza dei comuni. La commissione Ambiente, in occasione dell’audizione di Crocetta e Contrafatto, ha richiesto al governo “di assumere provvedimenti necessari per far sì che i inadempienti istituiscano le Assemblee territoriali idriche (ati)”.
Al momento, secondo quanto riportato dall’assessorato, otto Ati risultano insediate, ma, sia pure con “gradazioni differenti, non sono tuttora pienamente operative e non sono dunque subentrate a pieno titolo, come previsto dalla legge, nelle funzioni già attribuite alle autorità d’ambito ottimale (gli ex ato, ndr) con grave pregiudizio per l’intero settore”.
Le scadenze dell’assessorato sono precise: “si assegna il termine di sei mesi dalla presente (18 maggio, ndr) per redigere/aggiornare il Piano d’Ambito, scegliere la forma di gestione e avviare la procedura di affidamento del Sii, pena l’attivazione dei poteri sostitutivi previsti dall’articolo 172, comma 4, d.lgs n.152/2006”.