Tagliare la spesa e usare immobili confiscati - QdS

Tagliare la spesa e usare immobili confiscati

Carlo Alberto Tregua

Tagliare la spesa e usare immobili confiscati

mercoledì 07 Giugno 2017

Mettere in atto risparmi strutturali

L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc), con sede a Reggio Calabria, ha il compito di accatastare i beni confiscati alla criminalità organizzata o ad altri soggetti, acquisiti con sentenze passate in giudicato.
Ha, anche, il compito di gestire tali immobili, possibilmente mettendoli a reddito o girandoli ad amministrazioni pubbliche e associazioni di pubblica utilità. L’importante è che essi vengano utilizzati e non abbandonati a un degrado continuo, che ne fa fortemente decrementare il valore.
Il censimento dei beni gestiti dalla già citata Agenzia (dati 2015) era di circa 27 mila immobili di cui ben 9 mila in Sicilia.
La pubblica opinione non è informata dal mancato utilizzo dei beni confiscati, che di per sé rappresenta una notizia clamorosa. Si tratta di un’accusa nei confronti di chi dovrebbe provvedere alla messa in esercizio di tali beni affidandoli o cedendoli a terzi.
Ci viene detto che l’Agenzia non è attrezzata per questo lavoro, in quanto non ha personale qualificato né sufficiente: un’altra grave lacuna dell’attuale Governo, che non si preoccupa di utilizzare beni del valore di miliardi.

Dare gli immobili confiscati alle Pubbliche amministrazioni locali, le quali potrebbero utilizzarli per la produzione dei propri servizi, significa far risparmiare cifre rilevanti.  Si tratta di risparmi strutturali, cioè che non comportano più spese di sorta. Vero è che gli immobili dovrebbero essere ristrutturati, ma quella spesa occorrerebbe una tantum.
Oltre agli immobili confiscati, ve ne sono centinaia e forse migliaia di non utilizzati, per esempio le Caserme, che potrebbero essere cedute al mercato o alle Amministrazioni locali. Anche in questo caso, per lo Stato sarebbe un’entrata e cesserebbero le spese di manutenzione, anche se non sempre esse vengono effettuate.
A prima vista, non si capisce perché le Pubbliche amministrazioni debbano collocarsi in immobili privati quando vi sono migliaia di immobili di Stato, Regioni e Comuni già disponibili. O forse si capisce benissimo…
 

Tagliare la spesa corrente per girarla in investimenti di infrastrutture e investimenti privati, mediante il credito d’imposta, è una manovra semplice a enunciarsi, ma difficile a realizzarsi.
Perché? Perché gli appetiti degli speculatori, che succhiano risorse dalle casse pubbliche, sono sempre vivi. Gli stessi speculatori hanno mezzi di pressione sulla classe politica debole e permeabile, con la conseguenza che prevalgono sull’interesse generale.
Basterebbe attuare la riforma Madia, che taglia (sulla carta) da ottomila a mille le partecipate pubbliche per risparmiare 9 miliardi. Basterebbe la revisione di tutte le pensioni liquidate con il metodo retributivo, applicando il metodo contributivo, per risparmiare 40 miliardi. Basterebbe mantenere il blocco del turn over dei pubblici dipendenti per risparmiare 3 miliardi. Basterebbe rivedere gli organici delle ottomila partecipate, in base a Piani aziendali rigorosi, per risparmiare due miliardi.

Insomma, l’elenco dei tagli è lungo e l’hanno più volte formulato i quattro commissari alla Revisione della spesa. Siccome però tagliare comporta perdita di consenso dei privilegiati, ecco che i Governi deboli che si sono succeduti in questa legislatura si sono arenati.
Dati i vincoli europei, sarà improbabile che nella prossima Legge di Stabilità 2018 si potrà chiedere un nuovo indebitamento, denominato subdolamente flessibilità, anche perché il debito pubblico continua ad aumentare (fra marzo 2016 e marzo 2017 è passato da 2.228,7 miliardi a 2.260,3 miliardi con un incremento di 32 miliardi).
Il tutto mentre il Pil, nel 2016, è aumentato di circa 15 miliardi. Con la conseguenza che il rapporto Pil/debito è ulteriormente peggiorato.
Di fronte ai numeri, nudi e crudi, le chiacchiere stanno a zero. La base della piramide sociale, che è maggioritaria, è formata da cittadini con scarse cultura e conoscenza, i quali non capiscono che si fanno imbrogliare dai tanti illusionisti della politica. Perciò non reagiscono e danno il consenso a candidati immeritevoli.

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