Sindaci inoperosi, Comuni dePILati - QdS

Sindaci inoperosi, Comuni dePILati

Rosario Battiato

Sindaci inoperosi, Comuni dePILati

martedì 13 Giugno 2017

Interventi in settori strategici quali trasporti ed edilizia fanno aumentare sensibilmente il Prodotto interno lordo. Le risorse ci sono, ma servono progetti validi per creare sviluppo e occupazione

PALERMO – Ripartire da città più smart per sollevare l’economia. Il tema, rilanciato ormai periodicamente dall’Ue e dal governo nazionale, ha investito in pieno l’agenda dei Comuni isolani. Un’azione da condurre nel nome delle politiche di rigenerazione urbana che si declinano in azioni dirette di riqualificazione, manutenzione del patrimonio edilizio pubblico e privato, riduzione del consumo di suolo, rivalutazione degli spazi pubblici, razionalizzazione della mobilità urbana, rinascita dei centri storici.
Un percorso ramificato e complesso, che si muove lungo le coordinate della messa in sicurezza e dell’efficientamento del patrimonio edilizio, senza dimenticare gli investimenti in nuove infrastrutture e in un sistema di trasporti più efficiente. Azioni che hanno un impatto diretto sulla vivibilità, ma anche sul Pil delle città in termini di crescita o di risparmio.
Per rilanciare l’economia siciliana bisogna ripartire dalla sue città, soprattutto da quelle metropolitane: le tre aree di Palermo, Catania e Messina, seppur coinvolte da un vero e proprio esodo negli anni scorsi, ospitano comunque circa la metà della popolazione isolana, una statistica più o meno in linea con le prime cento città italiane dove vive il 67% della popolazione nazionale. Risulta diverso l’apporto economico: le prime cento città d’Italia producono l’80% del Pil nazionale, mentre le isolane sono un po’ più timide su questo fronte. Nel rapporto “Come gli stakeholder ipotizzano il futuro delle loro città metropolitane”, diffuso dall’Anci lo scorso anno, il peso economico delle aree metropolitane isolane è inferiore alla media (città italiane e aree metropolitane) con depositi pro-capite per famiglie consumatrici che sono quasi la metà di quelli delle altre città metropolitane (soprattutto a Palermo e Catania) e comunque inferiori a quelli nazionali.
Eppure esiste una speranza, infatti “gli stakeholder locali riconoscono anche un’opportunità particolare a Messina: questa, insieme a Reggio Calabria, Palermo e Catania, costituisce un’area di quattro Città Metropolitane tra loro confinanti (elemento unico a livello nazionale) che, con il 16,5% del Pil e il 17,2% della popolazione del Mezzogiorno, può agire da volano per lo sviluppo dell’intero Sud Italia sulla base di politiche mirate di collaborazione e co-sviluppo”.
Si parte dai trasporti. In una nota della Uitp, l’associazione internazionale dei Trasporti pubblici con oltre 2000 membri in 80 Paesi di tutto il mondo, si è stimato che “nei Paesi sviluppati il costo per la comunità degli spostamenti urbani rappresenta tra il 5 e il 7% del Pil nelle città di media e alta densità dove il 50% dei viaggi viene fatto a piedi, in bicicletta o sul trasporto pubblico, mentre può superare il 15% del Pil in quelle città sviluppatesi in maniera incontrollata dove domina l’automobile”. Catania e Palermo stanno lavorando in questo senso – è sufficiente ricordare gli interventi di metropolitana e tram –, ma, assieme a Messina, hanno ancora una delle più alte medie nazionali di spostamenti in automobile (circa 7 su 10) e un tasso di utilizzo del mezzo pubblico ancora minimo (a Milano 4 su 10 si muovono col tpl). Migliori sistemi di trasporto incidono anche sulla produzione e non solo sui risparmi: lo studio “The mobility opportunità – Improving urban trasport to drive economic growth”, commissionato da Siemens e condotto dall’agenzia di consulenza. Credo, ha precisato che gli investimenti sui mezzi pubblici guideranno la crescita economica delle città, citando l’esempio di Parigi che con la nuova linea metro di 200 km abbatterà i costi di trasporto interni e permetterà di generare un valore pari a un punto percentuale di Pil procapite. La combinazione degli elementi della smart mobility (recupero di diseconomie, tempo utile, sviluppo di filiere industriali) permetterebbe, stando a un altro studio di The european house Ambrosetti per conto di Finmeccanica, di generare in Italia fino a cinque punti di Pil.

Ampi margini di azione ci sono anche nel settore dell’edilizia
e non certo sul fronte della costruzione, ma della riqualificazione. Nel report “Forme e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia”, pubblicato lo scorso 8 maggio dall’Istat, Catania, Palermo e Messina vantano valori sostanziosi in termini di consumi di suolo (edificato consolidato) e un patrimonio edilizio non certo molto giovane. Nelle tre aree comunali ci sono oltre 20 mila edifici costruiti prima del 1919, 50 mila prima del 1946 e 120 mila prima del 1971. Numeri pericolosi per aree direttamente esposte al rischio sismico (il 90% dei comuni isolani è in fascia 2, cioè la seconda più elevata) e che avrebbero necessità di interventi di messa in sicurezza e, in alcuni casi, di manutenzione. Ci sono, per esempio, le agevolazioni del governo per entrambi gli ambiti intervento, ma i siciliani sono in ritardo. L’esempio è Reggio Emilia – nei giorni scorsi ne ha parlato linkiesta.it, intervistando il sindaco Luca Vecchi – che da città di provincia trainata dall’edilizia, si è trasformata, nel giro di un decennio, in un nuovo esempio virtuoso con un export che era crollato da 6 a 4 miliardi nell’era della crisi e che oggi è risalito a 10 miliardi. Il nuovo modello è basato su partecipazione, innovazione e riqualificazione con l’esempio delle Officine reggiane: dieci capannoni abbandonati che sono stati riqualificati per creare un parco dell’innovazione e per essere messi a disposizione all’associazionismo locale. Interventi coordinati per un Pil che ha visto una crescita dell’1,3% in un anno. E sull’edilizia come rigenerazione urbana c’è anche l’esempio del contestato progetto “Stadio della Roma” che, secondo una stima della Facoltà di Economia dell’Università Sapienza, avrà un impatto economico pari a due volte e mezzo quello generato da Expo, grazie anche alle numerose opere collegate al progetto.
 

 
I soldi sono già sul piatto però bisogna intercettarli
 
PALERMO – Un ruolo da protagonista che va costruito dal basso e con cautela. In quest’ottica si inseriscono, per esempio, i cosiddetti Patti per il Sud, voluti dal ministro Claudio De Vincenti, e tutte le politiche che puntano a rendere più smart le città. Di recente, il governo ha puntato, in particolare, sul Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, che ha già visto gli accordi per le prime due tranche di pagamento, tra marzo e maggio, e che vale complessivamente circa 2 miliardi di euro.
All’inizio di marzo, 24 sindaci di tutta Italia, i primi della graduatoria dei progetti del bando periferie, hanno firmato con il governo gli accordi per l’ammissioni al finanziamento del programma per le periferie. L’unica siciliana è stata Messina: alla città dello Stretto circa 18 milioni di euro per il progetto che si chiama “Messina: CapaCity”, tra le cui azioni figura anche il recupero di due quartieri storici con baracche del terremoto del 1908.
Nell’elenco anche Catania che, nelle successive tranche di pagamento, riceverà circa 16 milioni di euro per interventi nei quartieri di San Giovani Galermo e di Trappeto Nord che riguarderanno azioni di recupero, potenziamento dei trasporti pubblici e manutenzione di infrastrutture.
Anche Palermo ha avuto i suoi progetti con uno stanziamento da 18 milioni di euro. In previsione anche ulteriori fondi per la riqualificazione urbana per i progetti delle tre città metropolitane in graduatoria che ammontano a 40 milioni di euro a testa.
 


Fermare il flusso in uscita da parte di troppi siciliani
 
PALERMO – Gli interventi di riqualificazione servono per creare migliori condizioni di vita, nuovi lavori e opportunità, ma anche per fermare il flusso in uscita dei siciliani che continua a essere particolarmente sostanzioso. Le aree metropolitane dell’Isola non costituiscono un fattore attrattivo sufficiente, così come confermato dall’Istat nel rapporto “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” dello scorso dicembre. Secondo l’Istituto di statistica, i più rilevanti flussi in uscita, in rapporto al numero di residenti, si registrano proprio in Sicilia con menzioni particolari per le province di Enna, Caltanissetta, Agrigento e Palermo, dove si riscontrano tassi di emigratorietà tra il 2,7 e il 3,0 per mille abitanti.
Numeri che confermano una tendenza ormai consolidata: nel 2014 il movimento migratorio interregionale in valore assoluto ha visto quasi 26mila siciliani spostarsi nel resto d’Italia a fronte di 16 mila ingressi che hanno visto un peso determinante, circa un quarto, dalla Lombardia, identificandosi come una possibile emigrazione di ritorno. Le grandi città soffrono: da Palermo 7 mila spostamenti, da Catania quasi 5 mila e poco meno di 4 mila da Messina. Si fugge anche verso l’estero, seppur in maniera meno evidente. Più di duemila dal capoluogo e mezzo migliaio da Catania. Meno incisivo il dato peloritano che si è fermato a circa 200 unità.

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