L'Ue stringe l'Italia in una morsa - QdS

L’Ue stringe l’Italia in una morsa

Carlo Alberto Tregua

L’Ue stringe l’Italia in una morsa

martedì 11 Luglio 2017

Reagire evitando gli approdi

La riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, svoltasi a Tallin, ha evidenziato con limpidezza che l’Italia è isolata nell’accoglienza degli immigrati. Ed è isolata per la propria responsabilità politica, cioè per aver spalancato i porti ad un’invasione irrefrenabile e senza limiti dietro la quale si nasconde anche la speculazione e forse la connivenza fra la mafia libica e i trafficanti di esseri umani.
Il nostro Paese avrebbe dovuto, da qualche anno a questa parte, dichiarare con fermezza che non avrebbe accolto navi di Frontex né di Ong se non si fossero aperti tutti i porti dell’Europa sul Mediterraneo, cioè anche Malta, Francia, Spagna e Grecia.
Il buonismo, stimolato dal Papa, ha creato il caos sottraendo risorse ai bisogni degli italiani (cinque miliardi) ma anche assorbendo attività della Protezione Civile, della Sanità, delle Forze dell’Ordine e di altri settori della Pubblica amministrazione che sono state distolte dai propri compiti istituzionali.

L’Ue ha stretto l’Italia in una morsa. Ricordiamo il vecchio film di Totò, quando urlava: Arrangiatevi! Dietro questa noncuranza, belle parole e pacche sulle spalle. Ma intanto, Macron e Rajoy, appoggiati chiaramente dalla Merkel, hanno confermato una linea obiettiva che ricalca la convenzione di Dublino: si possono accogliere quelle persone umane che abbiano motivi per chiedere l’asilo sfuggendo a guerre e pestilenze. Ma tutti gli altri, che il giovane Presidente della Repubblica francese ha denominato immigrati economici, non possono essere accolti.
I pannicelli caldi dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) non servono a nulla perché viene stimato da più parti che l’80% degli sbarcati dovrebbe essere riportato nella sua patria di origine. Ma non essendovi convenzioni con quei Paesi, il rimpatrio è pressoché impossibile.
Dunque, la questione va affrontata a monte e cioè bisogna interdire lo sbarco alle navi europee di Frontex e a quelle delle Ong, mentre dovrebbe essere consentito, ovviamente, lo sbarco degli immigrati soccorsi dalla Guardia Costiera e dalla Marina militare italiana.

Ci si chiede: ma se l’Italia non autorizza gli sbarchi nei propri porti, cosa e come fanno le navi cariche di immigrati? La risposta è semplice: l’Europa ed il suo organo supremo, che è il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo europei, devono trovare una soluzione, non l’Italia.
Insomma, il cerino acceso non può restare nelle mani del nostro Paese e deve essere trasferito nelle mani dell’Europa. Si metta l’Unione di fronte alle proprie responsabilità trovando una soluzione agli sbarchi di Frontex e Ong: o tutti o nessuno. Basta con questa debolezza istituzionale in virtù di una comprensione umanitaria fuori da ogni logica e fuori da ogni regola etica.
Se si dovesse applicare il deleterio comportamento dell’Italia di questi ultimi anni a tutte le popolazioni del mondo che versano in stato di miseria, l’Europa dovrebbe prepararsi ad ospitare un miliardo di persone, cosa ovviamente impossibile. Ed allora, perché si accettano i poveracci che rischiano la vita e pagano 3-4mila dollari pro capite per percorrere circa 15 miglia in barconi fatiscenti?
Il processo di uscita dalla miseria dei popoli è lungo e faticoso, può durare decenni o anche centinaia di anni. Ogni popolo è arbitro del suo destino e del suo futuro. Non è scappando dalle proprie terre e rifugiandosi in altre benestanti che si risolvono i loro problemi.
Certo, le nazioni a sviluppo avanzato devono farsi carico di aiutare quelle ancora in condizioni miserevoli, ma è con un’azione corale che questo supporto sussidiario può e deve essere dato, non ricorrendo semplicemente all’accoglienza di quei disperati.
Quando vi sono problemi umanitari di immense dimensioni bisogna fare ricorso alle regole morali che governano il mondo dall’albore delle civiltà. Queste regole riguardano la solidarietà verso chi sta male, ma non dicono che debbano essere spalancate le porte in modo disordinato, disorganizzato, trasferendo da un Paese all’altro abitudini retrograde.
L’integrazione è sacrosanta: va fatta, ma osservando le leggi, le abitudini e il sentimento popolare.

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