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Una Topolino amaranto, 60 anni e non li dimostra

Carlo Alberto Tregua

Una Topolino amaranto, 60 anni e non li dimostra

giovedì 13 Luglio 2017

Cinquecentino per tutti

Se ricordiamo il sessantesimo della nascita del Cinquecentino, non è per un fatto che riguarda il mondo dell’automobilismo, ma per la rilevanza che esso ebbe in una sorta di rivoluzione sociale, secondo la quale avvenne il fenomeno della divulgazione delle auto nelle fasce medio-basse della popolazione. La mobilità, la socialità, il turismo ne ebbero vantaggi.
Genitrice della Cinquecento del 1957 fu la Topolino amaranto, che va che è un incanto nel Quarantasei, cioè undici anni prima. è il testo di una famosa canzone di Paolo Conte, che delineava la società del nostro Paese immediatamente dopo la guerra.
Creata e disegnata da Dante Giacosa, la Cinquecento aveva in sé le caratteristiche di semplicità e indistruttibilità. Piccola, ma capiente, portava intere famiglie di quattro persone, che caricavano i bagagli sopra il tetto, come si vede ancora nei film dell’epoca.

Costava 495 mila lire, cioè all’incirca dieci stipendi di un dipendente, quando la benzina era intorno alle cento lire a litro. Percorreva 13 o 14 chilometri con un litro di benzina, anche se con i suoi 17 cv non era molto veloce. Tuttavia, non si fermava mai e le riparazioni erano facilissime.
Quella rivoluzione sociale non soltanto fu la fortuna della Fiat, ma un colpo di acceleratore all’economia del Paese e in particolare dei consumi, quei consumi che avevano avuto scarsa crescita per quasi un decennio.
Ricordiamo che in quel periodo gli italiani ebbero quasi un furore collettivo per la rinascita del Paese. Tutti si sacrificavano, lavoravano 12, 14 o 16 ore al giorno perché credevano nel futuro e volevano un futuro migliore. Questo accadeva anche perché i morsi della Guerra erano ancora visibili sulla carne dei cittadini, con ricordo degli orrori infiniti.
Un altro fatto va rilevato per inquadrare l’epoca di cui parliamo, e cioè che l’Amministrazione pubblica faticava a riorganizzarsi, ma tutti i pubblici dipendenti lavoravano senza tregua, sacrificandosi ben oltre l’orario delle 36 ore che ricordava l’epoca fascista.
Il senso del dovere dei pubblici dipendenti era un esempio per tutti i cittadini, che trovavano sempre risposte di servizio e non prepotenze come accade oggi.

 
Questo non è amarcord, ma l’analisi del Risorgimento italiano post-guerra, che ci dovrebbe far capire meglio cosa fare oggi per un nuovo Risorgimento, dopo otto anni di tragica crisi in cui la capacità di reazione dei nostri governanti è stata pari a zero.
Lo dimostra il fatto che altri Paesi hanno ricominciato a crescere già da diversi anni: la Germania, per esempio, ha conseguito un surplus commerciale di oltre 300 miliardi di euro, che sta arricchendo quel territorio e la sua popolazione.
Negli anni Cinquanta e Sessanta avevamo politici di rango, gente seria, dotata di profonda cultura e dei requisiti che devono avere gli statisti. La stessa Democrazia cristiana, partito di maggioranza relativa per 46 anni (1946-1992), pur con tutti i giochi di potere al suo interno e le alleanze variabili fino a quella con il Partito comunista, aveva a cuore il bene e il futuro del Paese.
È la carenza di spessore dell’attuale classe politica la causa del degrado sociale della Pubblica amministrazione, al cui interno ognuno tira il lenzuolo dal proprio lato e al proprio servizio, e non dei cittadini.

Ogni tanto, viene citato Aleksej Grigor’evič Stachanov (1906–1977), un russo che non si stancava mai di lavorare, tanto che si chiamano stacanovisti quelli che lavorano tanto. Il personaggio non soltanto lavorava moltissimo, ma produceva risultati, quindi era un capace con un grande spirito di sacrificio.
Il lavoro non può essere fine a se stesso. Deve avere degli scopi, così come devono averli i lavoratori. Più aumenta il numero di chi produce, in modo più o meno indipendente, e più il Paese cresce.
Secondo Bertrand Russel (1872–1970), soltanto chi fa uno sforzo intellettuale si può rendere conto del male che fa a non lavorare, o a lavorare male, o a lavorare solo per passare tempo. E, continua, solo con uno sforzo morale si può capire che occorre fare più lavoro del necessario, onde conservare la propria posizione lavorativa.
Tutto ciò accade quando il bisogno è evidente e pressante e si ha la coscienza che senza di esso la vita si svuota.

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