Comuni: tanti debiti, zero sviluppo - QdS

Comuni: tanti debiti, zero sviluppo

Eleonora Fichera

Comuni: tanti debiti, zero sviluppo

venerdì 14 Luglio 2017

Bankitalia ha analizzato lo stato di salute delle finanze locali: in Sicilia spese ancora alte e investimenti risibili. Trasferimenti ridotti e senza capacità di incassare le entrate tributarie

PALERMO – Le finanze degli Enti locali continuano a essere un elemento di forte criticità per la condizione economica della Sicilia. Tra scarsità di risorse e una gestione non certo efficiente, nel 2016 le Amministrazioni locali isolane si sono trovate a dover fronteggiare un debito da 6,4 miliardi di euro. Una cifra (comprendente però anche Regione ed Enti sanitari) che corrisponde al 7,3 % del Pil regionale.
A certificarlo, l’ultimo rapporto della Banca d’Italia sull’economia siciliana. Va specificato, a onor del vero, che il debito degli Enti locali isolani è in calo rispetto al 2015. Nonostante sia diminuito del 3,8% rispetto all’anno precedente, però, la sua incidenza sul Pil rimane su valori superiori rispetto alle altre Amministrazioni del resto d’Italia (dove il rapporto debito Pil è del 5,3%, due punti sotto la media isolana).
 
Ma come se la passano Comuni, ex Province e Città Metropolitane? Non bene, secondo i dati diffusi da Bankitalia. Nonostante il ridimensionamento della spesa, in costante calo nel triennio 2013-2015, le casse degli Enti locali restano in condizioni tanto difficili da inibire ogni prospettiva di sviluppo, mettendo a rischio persino i servizi essenziali. Mentre i novelli Liberi Consorzi subiscono il calo delle entrate extratributarie (ma anche la mancata riscossione dei tributi propri), a pesare sulle casse dei Comuni isolani, è il sensibile ridimensionamento dei finanziamenti e l’incapacità di incamerare maggiori entrate tributarie. Per avere un quadro completo della situazione economica in cui versano gli Enti, è utile analizzare, più nello specifico, spese ed entrate.

SPESE – Secondo i dati riportati da Bankitalia, nel triennio 2013-2015, la spesa totale delle Amministrazioni locali siciliane (incluse Regione Asl e altri Enti), ha subito una diminuzione annua del 3,6%. In media, sono stati spesi 3.367 euro pro capite (meno della media nazionale, che ammonta a 3.482 euro pro capite). Ai Comuni va ricondotto il 24,6% della spesa totale (un quarto del totale regionale, circa 828 euro pro capite), mentre sulle Province il 2,3% (poco più di 77 euro pro capite).

Il grosso della cifra (circa i nove decimi del totale), è costituito dalla spesa corrente primaria (2.920 euro pro capiti in totale, 730 per i Comuni e per 64 le Province), in calo del 3,8%. Diminuita anche la spesa in conto capitale (-2%) che si è assestata intorno ai 440 euro pro capite (di cui 14 per Province e 98 per Comuni). A incidere maggiormente su quest’ultima, sono gli investimenti fissi (per capitali fissi, beni e opere immobiliari, beni mobili e macchinari). Nel 2015 in rapporto al Pil regionale, questi ultimi si sono assestati al 32% nel caso dei Comuni (4% nelle Province). Cifre comunque inferiori a quelle registrate nelle altre Regioni a statuto speciale e nel resto d’Italia dove si sono raggiunti, rispettivamente, 47% (3% nelle Province) e il 63% (7% nelle Province).
Una quota significativa delle spese totali, infine, è ancora riservata ai costi del personale degli Enti locali. Il costo totale per abitante nel triennio in esame è stato di 1.218 euro (305 per i Comuni e 39 per Province e Città Metropolitane). Ben 47.195 euro, invece, il costo complessivo per addetto (30.671 nei Comuni e 35.950 in Province e Città Metropolitane). Nel triennio in esame, secondo Bankitalia, i costi si sono ridotti (del 3% nel caso dei Comuni e del 7% nelle Province della Sicilia) grazie, sopratutto, ai tagli sui dipendenti: il numero totale degli impiegati negli Enti locali è sceso complessivamente del 2,9% (3% nei Comuni e 5,6% in Province e Città Metropolitane).

ENTRATE – Veniamo adesso alle principali modalità di finanziamento. Nel triennio 2013-2015 le entrate correnti sono state pari a circa 3.560 pro capite, in aumento dell’1,5% in media l’anno. L’incremento registrato, però, ha coinvolto solo le Province, dove le entrate correnti totali (96 euro pro capite) hanno subito un variazione annua positiva del 6,6%. Nei Comuni, al contrario le entrate correnti si sono contratte dell’1,5% (839 euro pro capite). Sul fronte delle entrate extra-tributarie, invece, la situazione si ribalta: in calo del 7,9% negli Enti di area vasta e in crescita di circa il 2% nei Comuni.

Il grosso delle entrate resta da ricondurre, comunque, ai tributi propri: 55 euro pro capite per le Province (-2,1% la variazione annua) e 401 euro per i Comuni (+7,2%). Il report specifica che “nel 2015, le aliquote dell’imposta provinciale sull’assicurazione Rc auto sono state applicate nella misura massima (16%) in tutte le province, con l’eccezione di Siracusa (12,5%)”. Sul fronte comunale, d’altronde, “l’aliquota media dell’addizionale all’Irpef, applicata nel 90% dei Comuni è rimasta allo 0,63%”.
Più complessa, invece, la questione finanziamenti. Nei Comuni, si è registrato un calo del 10% annuo, mentre nelle Province la variazione annua è stata positiva (22,8%). Questi numeri, però, meritano un’analisi più approfondita. Sul dato delle Province, infatti, incide il processo di riforma in cui queste sono coinvolte ormai da anni. La riforma degli Enti di area vasta, infatti, che ne ha definito e ridefinito competenze e caratteristiche, e che per altro, tra ritardi e rivisitazioni, non è mai stata del tutto completata, continua ad avere pesanti ripercussioni sulla loro gestione. In quest’ottica, la crescita di finanziamenti registrata, va reinterpretata: buona parte di queste risorse, infatti, deriva da erogazioni di natura straordinaria e da residui passati. Senza di queste misure eccezionali, probabilmente, la situazione economica delle (ex) Province, già tanto disastrosa da mettere a rischio rete stradale, edilizia scolastica e servizi ai disabili, sarebbe risultata ancor più preoccupante.
Per contro, però, per risollevare almeno in parte le finanze, sono arrivati i Patti per le Città Metropolitane, i cui interventi programmati hanno un costo medio di circa 760 milioni di euro ( superiore a quello rilevato per il complesso delle Città Metropolitane del Mezzogiorno, 614 milioni): 771 per Palermo, 739 per Catania e 778 per Messina. Risorse importanti che dovrebbero andare a colmare carenze infrastrutturali e ambientali, promuovere turismo ed eventi culturali e mettere (finalmente) a frutto interventi che puntino sullo sviluppo economico e produttivo della nostra Isola.
 


L’inaspettato salvagente della tassa di soggiorno
 
PALERMO – Un’importante risorsa finanziarla per i Comuni siciliani è rappresentata dall’imposta di soggiorno. Si tratta di un tributo, riservato a Comuni capoluogo, località turistiche e città d’arte, che, con relativa discrezionalità delle Amministrazioni, più arrivare a un massimo di cinque euro per notte.
Il piccolo contributo, richiesto ai soggetti non residenti che soggiornano nelle strutture ricettive presenti nei Comuni che prevedono l’imposta (42 in Sicilia: 6 capoluoghi di provincia, 7 appartenenti a unioni, 24 a vocazione turistica, e 5 isole minori), ha generato nel 2015 entrate pari a circa 8,6 milioni di euro, arrivando a rappresentare, in media l’1,4 % del totale delle imposte. Numeri da non sottovalutare.
“Sembra una cifra a bassa incidenza – ha spiegato Giuseppe Ciaccio, titolare della divisione Analisi e Ricerca economica territoriale di Bankitalia – ma in realtà, nei Comuni dove più elevata è la dotazione di posti letto rispetto al numero di residenti, l’imposta di soggiorno ha generato un flusso di cassa pari a quello dell’addizionale comunale Irpef”.
 Si tratta di un’imposta fondamentale perché, oltre a produrre, come abbiamo visto, entrate consistenti, ha un notevole impatto sul territorio. Trattandosi di un’imposta di scopo, infatti, i proventi raccolti dovrebbero essere reinvestiti per lo sviluppo e la promozione turistica dei territori comunali di riferimento, intervenendo, ad esempio, nel recupero dei beni culturali e nel loro utilizzo o nella manutenzione delle strutture ricettive presenti nel territorio. Un’imposta, quindi, capace almeno in teoria, di dare origine a un circolo virtuoso fondamentale per una Regione a forte vocazione turistica quale è la Sicilia. Vocazione che, però, sembra ancora troppo spesso trascurata e sottovalutata dagli amministratori locali.

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