Chi non accetta una sfida l'ha già perduta - QdS

Chi non accetta una sfida l’ha già perduta

Carlo Alberto Tregua

Chi non accetta una sfida l’ha già perduta

giovedì 27 Luglio 2017
La vita è tutta una sfida, una tenzone per qualsiasi competizione. Quale più difficile tenzone è vivere con dignità, consapevolezza, cultura e con la capacità di ottenere il meglio per gli altri e per se stessi.
Chi non accettasse la sfida della vita l’avrebbe già perduta. Tradotto, significa vivere male, senza obiettivi, senza la voglia di migliorarsi, senza la forza di lottare per la propria libertà e per quella degli altri: insomma, un modo per non vivere, ovvero per restare sempre appiattiti in una situazione statica.
Non pretendiamo di suggerire come comportarsi per vivere meglio. Vi sono migliaia di libri, di autorevoli autori che hanno scritto in questi millenni, ai quali bisognerebbe attingere per capire bene i meccanismi della vita e della sua cessazione.
Ci sembra che essa sia fatta di due parti integranti: una materiale ed una spiriturale, con la conseguenza che bisogna considerare la morte come un fatto naturale, che libera lo Spirito, il quale continua a vivere.  Non c’è prova di questo, ma credo che sia così.

Per vivere in modo positivo, occorrono alcuni elementi, fra cui ordine, metodo e azione.
Occorre l’ordine mentale che si trasfonde nelle proprie azioni. è vero che vi sono i geni che hanno dei lampi, atti a fargli vedere scenari che altri non vedono; ma i geni sono pochissimi ed in ogni caso se non approfondiscono le loro intuizioni con gli elementi prima indicati non riusciranno mai a spiegarsi le loro stesse intuizioni.
Le persone normali, adoperando ordine, metodo ed azione, conditi con una grande quantità di olio di gomito, di sacrifici, di buona volontà, possono vincere la sfida di tutti i giorni che dura fino all’ultimo momento in cui il corpo finisce.
Certo, impostare la propria vita, credendo o non credendo al mondo dello Spirito, è molto diverso. Nel primo caso, la prosecuzione comporta quasi l’obbligo di agire secondo i principi morali millenari; nel secondo caso, invece, dovendo utilizzare solo questa vita si possono compiere atti nefasti e dannosi agli altri, tanto quando si muore si spengono le luci e ci sarà il nulla. Può esserci il nulla al di là di ciò che è sotto i nostri occhi? Nessuna prova.
 

Vi sono due personaggi di fantasia, creati da due autori in mondi diversi. Mi riferisco a Hercule Poirot, famoso investigatore privato belga, inventato dall’acuta mente di Agatha Christie (1890-1976). Il personaggio adoperava, appunto, ordine, metodo e azione, facendo lavorare le celluline grigie, riflettendo su ogni circostanza, annotando ogni dettaglio, anche i più insignificanti, e mettendo insieme tutte le componenti del puzzle, che portavano inesorabilmente al risultato di scoprire l’assassino o gli assassini.
Poirot non sbaglia mai: presuntuoso, vero? Eppure è così perché non vi è nessuno delle centinaia di romanzi, aventi per protagonista il Nostro, che non si sia concluso con la scoperta del colpevole.
Vi cito la Christie ed il suo personaggio, non già per le trame intricate e coinvolgenti, ma perché da esse si può trarre ogni volta una morale in base alla quale il bene vince sul male e quindi la vittoria in una sfida perenne.

L’altro personaggio che voglio citarvi è Tex Willer, inventato da Gian Luigi Bonelli (1908-2001) nel 1948. Un ranger del Texas vissuto intorno al 1860, almeno nella fantasia dell’autore, in una sfida continua contro il male, naturalmente catturando e uccidendo i malvagi e uscendone sempre vincitore.
Non è così nella vita perché ognuno di noi, con le proprie sfide, vince o perde. L’importante è che il numero delle vittorie sia superiore a quello delle sconfitte. Ed anche in quest’ultimo caso, bisogna trarre profitto da errori e perdite per ritrovare energie, rialzarsi e ricominciare da capo, perché la sfida della vita non finisce mai, se non con la vita stessa.
Quanta gente si deprime facilmente e anziché capire quali siano le cause interne del proprio modo di essere, riversa sul mondo intero la propria incapacità di vivere adeguatamente.
Quanta gente ragiona con la pancia e non col cervello, non interpretando adeguatamente, come dovrebbe essere, la sfida della vita. Ma è così, inutile illudersi.

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