I figli infedeli di mamma Regione - QdS

I figli infedeli di mamma Regione

Serena Giovanna Grasso

I figli infedeli di mamma Regione

mercoledì 30 Agosto 2017

La Corte dei Conti: “Sistema dei controlli interni inadeguato, lacunoso e basato su riscontri cartolari”. Corruzione dilagante, investitori in fuga: lotta al malaffare ancora all’anno zero

PALERMO – Una pubblica amministrazione sgretolata dall’interno. Una pubblica amministrazione inefficiente, improduttiva e di scarsa qualità. Una pubblica amministrazione, ancora, che “vanta” la presenza di ben otto regioni italiane classificate tra gli ultimi trenta posti a livello europeo.
Sono questi i risultati che emergono dallo studio “Al Sud abbiamo la pubblica amministrazione più scassata d’Europa: perdiamo 30 miliardi di Pil” redatto dalla Cgia di Mestre, sulla base di uno studio della Commissione europea Anticorp (Anticorruption policies revisited): nello specifico, si tratta di Campania (202 su 206 regioni europee), Calabria (193), Molise (191), Puglia (188), Sicilia (185), Lazio (184), Basilicata (182) e Sardegna (178).
La pubblica amministrazione siciliana non è solo inefficienza, ma rappresenta anche una realtà a costante rischio corruzione. Secondo il rapporto annuale dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), sugli 845 procedimenti di vigilanza su segnalazione espletati dall’Autorità, il 10,8% ha riguardato la Sicilia.
Si tratta del terzo valore maggiormente elevato a livello nazionale: infatti, un numero superiore di segnalazioni ha riguardato solo il Lazio (18,04%) e la Campania (13,87%).
Le segnalazioni hanno avuto principalmente ad oggetto l’area di rischio “Personale”, con riguardo ai conferimenti di incarichi dirigenziali, le progressioni di carriera, il conflitto di interessi, la rotazione del personale, l’omessa adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione e dei codici di comportamento.

 
Corruzione dilagante, “investitori in fuga”
 
I casi di corruzione sono quasi all’ordine del giorno. Si è perso di vista il primario obiettivo che dovrebbe caratterizzare l’azione della Pa: ovvero, il bene pubblico, lavorare per garantire efficienti servizi ai cittadini.
In un tal contesto, la Regione siciliana come interviene? Quali mezzi adotta al fine di prevenire i fenomeni corruttivi? Purtroppo l’Ente fa ben poco, al punto da venire bocciata dalla Corte dei Conti.
Si legge all’interno della Sintesi della relazione sul rendiconto generale della Regione siciliana – Esercizio finanziario 2016: “La valutazione delle Sezioni riunite sul sistema dei controlli interni della Regione nel 2016 rimane sostanzialmente negativa -così come avvenuto negli anni precedenti- a causa delle diffuse criticità che investono le sue diverse componenti. In primo luogo, il ciclo della performance è stato avviato in maniera tardiva e incompleta rispetto al disegno delineato dall’art. 11, comma 4, della legge regionale 5 aprile 2011, n. 5. In secondo luogo, il controllo di gestione, malgrado il miglioramento dell’applicativo Geko, è rimasto carente a causa dell’assenza di contabilità analitica. Infine, i controlli di regolarità amministrativa e contabile, quelli sulle società partecipate e sugli enti vigilati, nonché sulla prevenzione della corruzione, si sono rivelati lacunosi”.
L’inerzia degli enti nel rispondere alle richieste di informazioni da parte della Ragioneria generale della Corte dei Conti è indicativa di un’oggettiva e permanente debolezza dei controlli. La Corte dei Conti rileva inoltre la quasi immobilità nel rispondere alle circolari emesse dalla Ragioneria generale. Nell’insieme trovano conferma le criticità già constatate negli anni precedenti: la difformità dei documenti contabili rispetto alla vigente normativa, bilanci di previsione e variazioni di bilancio presentati ad esercizio di riferimento scaduto, rendiconti precedenti al 2015 non approvati, gestione provvisoria autorizzata per l’intero anno, mancata trasmissione delle relazioni semestrali dei collegi dei revisori.
Si legge ancora all’interno della sintesi: “In definitiva, queste Sezioni riunite ritengono di dover rilevare come il numero cospicuo e l’eterogeneità di enti ed organismi vigilati dalla Regione comportino in effetti perniciose sovrapposizioni di funzioni e sostanziale inadeguatezza dei sistemi di controllo, basati essenzialmente su riscontri cartolari, essendo molto sporadiche le verifiche in loco”.
In merito ai controlli per la prevenzione della corruzione e la trasparenza, “le Sezioni riunite ancora una volta richiamano l’attenzione dei competenti organi affinché venga assicurata l’effettività dei summenzionati controlli nell’ambito sia della stessa amministrazione regionale, sia nei confronti delle società partecipate nonché degli organismi ed enti vigilati o controllati dalla Regione”.
L’osservanza delle normative in materia non può però risolversi nel mero adempimento formalistico della redazione di report, ma richiede un maggiore recupero di efficienza e di efficacia dell’intero apparato amministrativo. Va da sé che ogni eventuale processo di riorganizzazione dovrà essere accompagnato contestualmente da una tempestiva nuova mappatura dei rischi e da un aggiornamento del Piano triennale per la prevenzione della corruzione (Ptpc). “L’aggiornamento non si è verificato nel 2016, poiché l’attuazione del Decreto presidenziale n. 12 del 2016 non è stata seguita da una celere ridefinizione della mappatura, che infatti si è protratta sino agli inizi del 2017. Il Ptpc per il 2016, pertanto, si è rivelato non più attuale per la seconda metà del medesimo anno”.
La presenza radicata di fenomeni corruttivi in seno alla pubblica amministrazione mina profondamente la fiducia dei cittadini nel confronti della cosa pubblica, ma non solo. Infatti, come è possibile leggere all’interno della requisitoria del procuratore generale d’Appello per la Regione siciliana, Pino Zingale: “I continui e reiterati episodi corruttivi ci penalizzano influenzando la scelta degli investitori esteri al pari del costo del lavoro del Paese e delle dimensioni del suo mercato”.
 

 
La Cosa pubblica “depredata”: alcuni casi di cronaca
 
Uno dei più recenti casi di corruzione porta il nome di Faustino Giacchetto, il manager regionale della comunicazione accusato della gestione dei piani di comunicazione di progetti formativi del Ciapi (Centro interaziendale addestramento professionale integrato) volta a propagandare attività formative che non formarono nessuno.
I giudici della quinta sezione del Tribunale di Palermo hanno puntato il dito anche contro la Regione, poiché ha consentito la pianificazione pubblicitaria con delega in bianco, senza procedure concorsuali, per un importo di cinque milioni di euro. Così Giacchetto, con l’apporto di politici e funzionari pubblici, ha potuto attingere a piene mani all’ingente budget, utilizzando il denaro per viaggi, conti negli alberghi, biglietti e abbonamenti in tribuna Vip per le partite del Palermo. Ma non solo: infatti, aveva affidato i servizi a società a sé riconducibili ed in altra parte a fornitori di servizi pubblicitari discrezionalmente individuati.
Altro caso è rappresentato da Anna Rosa Corsello, dirigente regionale condannata dai giudici d’Appello della Corte dei Conti a pagare alla Regione siciliana 163.730 euro. La Corte ha ritenuto l’ex dirigente, nominata liquidatrice delle società partecipate Multiservizi spa e Biosphera spa, responsabile del danno arrecato alla Regione per avere liquidato e pagato a se stessa la somma che ora dovrà risarcire.
Potremmo continuare ancora a lungo, ma concludiamo la sequela con Alberto Acierno, ex deputato ed ex direttore generale della fondazione Federico II. La sezione giurisdizionale della Corte dei Conti lo ha condannato al pagamento di 87.342 euro. Acierno, che all’inizio del decennio scorso era stato presidente del gruppo misto dell’Ars, era già stato condannato dalla magistratura ordinaria a sei anni di detenzione per peculato. L’attuale condanna si basa sull’utilizzo di una parte dei fondi del gruppo, pari circa a 42 mila euro, per spese di natura non istituzionale come giocate online. Secondo la sezione giurisdizionale, Acierno ha contribuito a “screditare, inquinare, ridicolizzare e danneggiare l’immagine che ha l’Assemblea”.

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