"La toga non è un abito di scena" - QdS

“La toga non è un abito di scena”

Carlo Alberto Tregua

“La toga non è un abito di scena”

mercoledì 11 Ottobre 2017

Il monito di Mattarella

Imparzialità, indipendenza, autonomia. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ricevendo nel salone delle Feste del Quirinale i magistrati in tirocinio nominati il 3 febbraio scorso, ha espresso parole ferme sulla funzione dei giudici, probabilmente anche in veste di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ai sensi dell’art. 87, comma decimo, e dell’art. 104, comma secondo, della Costituzione: “La toga non è un abito di scena. Quando si indossa bisogna dismettere i propri panni”.
Prosegue Mattarella: “I magistrati devono essere indipendenti, imparziali, autonomi, soggetti solo alla legge, senza farsi condizionare da lobbies, parti interessate ed altri che vorrebbero volgere le sentenze a proprio favore”.
Mattarella non ha inteso approfondire la funzione, distinguendo tra quella requirente, che è parte del processo, e quella giudicante che deve valutare con i requisiti prima indicati, sia le tesi dell’accusa che quelle della difesa, oggi squilibrate.

Il Presidente ha lanciato un altro fermo monito a quei giudici, per fortuna pochi, e a quei Pubblici ministeri, non molti, cui piace fare la Wanda Osiris della scena. Ha raccomandato di essere sobri e muti, di parlare solo con le sentenze e poco nei microfoni, in modo che le loro decisioni, non solo debbano essere obiettive, ma devono anche sembrarlo.
Quando i magistrati giudicanti si esprimono in nome del Popolo italiano, interpretano la Democrazia al suo livello più alto. Il Popolo è Sovrano anche se dimentica spesso di esserlo ed elegge dei mandatari in Sua rappresentanza, i quali poi operano come se loro fossero i padroni del vapore.
In altri termini, chi occupa indegnamente i posti istituzionali, si comporta non già al servizio del Popolo che gli ha conferito il dovere-potere di amministrare la Cosa pubblica, bensì ritenendo che il Popolo sia al proprio servizio: una vergognosa inversione dei ruoli.
Ma il Popolo ci mette del suo: infatti, non si comporta come un sovrano che controlla continuamente e assiduamente l’operato dei propri mandatari. Si disinteressa della Cosa pubblica e di coloro che l’amministrano, salvo poi protestare nel momento del voto con un atto antidemocratico: l’astensione.
 

La toga non è un abito di scena. No, perché i magistrati devono svolgere il loro lavoro nei tribunali, non nei mass media. Giornalisti scorretti e dimentichi del Testo Unico dei Doveri del giornalista, per cercare notorietà, passano le veline di alcuni Pm, di avvocati, e di altri dell’apparato giudiziario, e tentano di celebrare i processi sui giornali e nelle televisioni: una scorrettezza istituzionale che andrebbe severamente punita ma che invece lascia il tempo che trova.
Per fortuna, di fronte a pochi magistrati che civettano nei mass media, la grandissima maggioranza è sobria, puntuale e fa per intero il proprio dovere.
Non ci sembra che in questa categoria rientri il Pm Piercamillo Davigo che salta da una televisione all’altra pontificando contro questo e contro quello, tant’è che il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini (venuto al nostro forum pubblicato il 6 dicembre 2013), ha avuto modo di esprimere una reprimenda, sottolineando che nessuno deve entrare in fibrillazione quando ci sono le elezioni al Csm. 

La questione della distinzione dei ruoli tra magistrati requirenti e giudicanti è vecchia come il cucco. Più volte, alcune parti politiche hanno tentato di porre la questione della separazione delle carriere, ma il Parlamento non ha mai preso in esame neanche i relativi disegni di legge. Eppure, la questione esiste. Più volte abbiamo conversato con quei magistrati, i quali con molta serenità hanno confermato come la mentalità dell’accusatore sia abbastanza diversa da quella di chi deve prendere in esame, si ripete, in modo imparziale, le tesi delle due parti processuali.
Non sappiamo se il prossimo governo e la prossima maggioranza  prenderanno in esame la questione,  ma sappiamo che essa resta sul tappeto con tutta la sua incongruità.
I magistrati giudicanti sono una garanzia per i cittadini, i quali devono avere sempre fiducia in loro e anche in quegli accusatori che non possono dimenticare mai di essere magistrati. Ciò a tutela della loro onorabilità e di quella dei cittadini stessi.

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