In passato, quando i magistrati giudicanti smontavano le accuse dei requirenti, le notizie non avevano la stessa rilevanza e notorietà. Cosicché il cittadino, la cui innocenza era stata certificata, non riceveva il necessario ristoro per avere avuta restituita la propria onorabilità.
In quest’anno, però, alcune massime istituzioni hanno acceso i loro riflettori su chi ha accusato senza la necessaria ponderazione.
L’illuminazione è anche conseguenza di un numero sempre crescente di sentenze di vario grado, comprese quelle della Cassazione, che riconoscono l’innocenza di chi, accusato ingiustamente, ha anche trascorso mesi o anni in carcere.
Per ultima la riabilitazione di Bruno Contrada che il ministro dell’Interno ha restituito al ruolo di ex prefetto annullandone la precedente destituzione.
Ha anche fatto scalpore l’assoluzione dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone che ha trascorso ben nove mesi in carcere.
Il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, all’apertura dell’anno giudiziario, il 26 gennaio 2017 ha detto: “Bisogna aprire delle finestre di controllo giurisdizionale nelle indagini”.
Successivamente è intervenuto il vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura, Giovanni Legnini, il quale ha detto: “In nessun Paese europeo è consentito passare con tanta facilità dai talk show o dalle prime pagine dei giornali a funzioni requirenti e giudicanti, fino alla presidenza di collegi di merito o della Cassazione”, mettendo in guardia l’opinione pubblica di fronte a quei requirenti che non perseguono la verità ma la notorietà.
Su questo stesso versante è intervenuto il 9 ottobre scorso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha detto ai giovani magistrati: “La toga non è un abito di scena”. Con questa lapidaria frase ha voluto avvertirli che è consolidata consuetudine dei bravi giudici parlare con le sentenze e non nei microfoni di radio e televisioni o attraverso le pagine dei giornali.
Per fortuna la stragrande maggioranza dei pubblici ministeri è composta da persone responsabili, prudenti, professionali e coscienziose, che costituiscono una garanzia per il cittadino.
Ciò non toglie che i comportamenti accusatori devono essere profondamente diversi quando sono rivolti a criminali organizzati rispetto a cittadini normali. Ed è proprio il senso di responsabilità che si deve diffondere sempre di più nelle Procure.
E così sta avvenendo. è stata posta all’attenzione dell’opinione pubblica la circolare di Giuseppe Pignatone, procuratore capo della Repubblica di Roma, del 2 ottobre 2017, il quale comunica a tutti i componenti del suo ufficio, quindi compresi gli aggiunti e i sostituti: “Sostenere che una querela o una denunzia debbano comportare automaticamente iscrizione nel registro degli indagati come atto dovuto, è un errore. Non sta scritto da nessuna parte. Anzi, la Cassazione ha affermato che il potere di disporre delle iscrizioni al modello 21 attribuisce impropriamente alla polizia giudiziaria o al privato un potere che non ha”.
Aggiunge la Cassazione che spetta esclusivamente al pubblico ministero e alla sua “ponderata valutazione”, quando sussistano non “meri sospetti” ma specifici elementi indizianti. Nelle sette pagine delle istruzioni sono indicati elementi di prudenza e di attinenza a fatti concreti e non a illazioni. I procuratori capo di Messina, Maurizio De Lucia, di Bologna, Giuseppe Amato, e di Palermo, Francesco Lo Voi, hanno annunciato una circolare gemella, mentre il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, approfondirà il tema.
Leggetevi l’interessante circolare di Pignatone a pagina 6.