Maria Grazia Vagliasindi: "Professionalità elevata a servizio della società" - QdS

Maria Grazia Vagliasindi: “Professionalità elevata a servizio della società”

Paola Giordano

Maria Grazia Vagliasindi: “Professionalità elevata a servizio della società”

sabato 28 Ottobre 2017

Forum con Maria Grazia Vagliasindi presidente Corte d’Appello di Caltanissetta

Quella del presidente della Corte d’Appello è diventata quasi una funzione manageriale. Cosa pensa a riguardo?
“Direi che si è proprio rivoluzionata nella prospettiva sia normativa che consiliare, dove con quest’ultimo termine intendo del Consiglio superiore della magistratura, il nostro organo di governo. Oggi al presidente della Corte d’Appello si chiede di essere un fautore della cultura dell’organizzazione, una managerialità alta al servizio di una giurisdizione alta, che tale non può essere se non ha come obiettivo da privilegiare quello di fornire alla società una risposta che dia contezza della credibilità della giurisdizione. È questo l’obiettivo che ho tentato di realizzare nei miei ormai lunghi anni di carriera: sono entrata nel 1979 e ho iniziato il mio percorso professionale come giudice penale proprio a Caltanissetta, dove ho subito avuto la possibilità di tastare il rilievo della giurisdizione nissena, che si misura avendo come parametro di riferimento l’art. 11 del Codice di procedura penale, il quale definisce la competenza della Corte d’Appello per tutti i procedimenti che riguardano magistrati della limitrofa Corte palermitana. Ho sempre privilegiato il settore giudicante e credo che per una magistratura di professionalità, idonea a garantire risposte professionalmente elevate ed equilibrate, un buon percorso sia quello che inizia dal settore giudicante. Fermo restando che sono contraria alla separazione delle carriere, perché ritengo che il giudice sia uno sia in qualità di giudice del settore giudicante che come giudice del settore requirente, perché un’accusa che resista in dibattimento, che si fonda cioè su un’alta probabilità di colpevolezza dell’indagato, è un’accusa di cui è autore un magistrato elevato professionalmente, che la società ha il diritto di esigere perché per dare delle risposte che incidono sui diritti umani occorre essere dotati di un tasso di professionalità elevato. È quello che io esigo dai miei giudici, proprio perché quella di Caltanissetta possa essere una Corte luminosa, che nelle sue motivazioni renda conto delle ragioni della decisione e le giustifichi, in quanto la giustificazione razionale e la capacità per il cittadino di apprezzarla è effettivamente il metro di una giurisdizione come non può non essere o come tentiamo tutti che sia perché noi lo facciamo con un tipo di protocollo metodologico improntato su una grande umiltà”.
Cosa può dirci di questo suo ritorno a Caltanissetta?
“Se sono tornata l’ho fatto con passione, perché lì sono stata l’estensore della prima sentenza Chinnici. Proprio il processo Chinnici è stato celebrato a Caltanissetta quando io, seppur giovanissima, ero giudice a latere e il presidente era Antonino Meli. La nostra sentenza fu una sentenza, in termini di impegno e di sforzo, non solo intellettuale ma anche fisico, notevole: siamo stati in Camera di Consiglio per sei giorni e soprattutto abbiamo esaminato nel corso del dibattimento, quando ancora non esisteva la grande tematica della valutazione della chiamata di coro, quello che si può definire un pentito ante litteram, cioè il libanese Bou Chebel Ghassan. Lui rivelò prima dell’attentato all’allora capo della Criminal pool, e lo Stato lo deve sapere, la gente lo deve sapere, in termini molto nitidi che ci sarebbe stato un attentato con un autobomba con il sistema libanese, che si trattava di una 126 imbottita di tritolo e, non sbagliando sulla data, che sarebbero stati uccisi o De Francesco o Falcone. La fonte era genuina ma, purtroppo, fu sottovalutata. Questa è storia giudiziaria, è stata scritta in una sentenza del 1984 che venne pubblicata sul Foro italiano e che nei passaggi cruciali vede in evidenza la grande personalità investigativa di Rocco Chinnici, il quale ebbe quell’intuizione fondamentale sulla metodologia di indagine mafiosa. Ecco perché Caltanissetta ha da sempre un contenzioso di rilievo. Quello fu l’inizio e sventuratamente ci furono le altre tappe che tutti conosciamo, a partire dall’attentato all’Addaura, fino alle stragi di Capaci e di via D’Amelio o ancora l’omicidio Saetta e quello di Livatino: sono giudici che hanno lavorato a Caltanissetta. Parliamo dunque di un grande presidio di legalità e proprio in quanto tale è una Corte che non può e non deve essere soppressa, perché è ed è stata un sentinella di qualità di legalità e anche di impegno sul fronte dell’antimafia, oltre che sul fronte del contenzioso civile”.
 
Quale territorio abbraccia la Corte da lei presieduta?
“Un distretto rilevante sotto il profilo del tessuto economico e sociale. Basti pensare che comprende Gela, cui si è accorpata Niscemi a seguito del Dlgs. n. 155/2012. È una corte divisa in 42 comuni tra la provincia di Enna, quella di Caltanissetta e la zona di Gela, ma la cui rilevanza non si misura in base al numero degli abitanti, ma come dicono le indicazioni del ministero della Giustizia, in base all’indice qualitativo della richiesta di giustizia sia civile che penale. I 42 comuni comprendono anche Capizzi, che è un’enclave di Messina. Basti pensare poi a Riesi, Mussomeli, Butera, Niscemi: una realtà complessa. Caltanissetta è e continua ad essere come contenzioso un bacino di Palermo e l’ombelico della Sicilia, poiché è anche geograficamente uno snodo cruciale sotto il profilo dell’impresa e dell’edilizia giudiziaria, delle autostrade di collegamento. Il disegno di sopprimere la Corte d’Appello di Caltanissetta è stato abbandonato e adesso è rientrata tra le Corti che si occupano anche di protezione internazionale: il presidente del Tribunale di Caltanissetta ha creato la Sezione specializzata per i migranti, che si avvale di giudici specializzati e quindi gestisce questo contenzioso di grande rilievo. La protezione internazionale però, è bene ricordarlo, spetta a chi è meritevole di permanere sul territorio perché proveniente da realtà ove esistono condizioni esistenziali drammatiche”.
 

 
Le iniziativa già avviate per “svuotare gli armadi”

Sul piano organizzativo, a che punto è la digitalizzazione?
“L’informatizzazione è sicuramente una tappa importantissima, su cui sto puntando molto. I giudici del settore Civile sono tutti dotati di consolle e anche la cancelleria. Per quanto riguarda il penale c’è una criticità rappresentata ancora dal mancato completamento del registro di informatizzazione delle misure di prevenzione. Permane anche una certa difficoltà di passaggio digitale per i fascicoli dal primo al secondo grado. Stiamo cercando di implementare al massimo il sistema. Bisogna però formarsi e stare al passo con i tempi su questo fronte, e questo vale sia per i giudici che anche per il personale amministrativo. Il mio obiettivo è il potenziamento degli apparati amministrativi, la dotazione di risorse umane e materiali. La principale risorsa, già sperimentata in altre Corti in Italia, che spero di introdurre a Caltanissetta è l’Ufficio del processo: uno strumento manageriale che consente di ‘svuotare gli armadi’, cioè di organizzare e selezionare le cause anche per indice qualitativo, quindi di pesare i processi, creare un’organizzazione di quello che c’è per smaltire l’arretrato e far si che non se ne crei altro. Non posso, infatti, per smaltire l’arretrato non fare il corrente. Questo ufficio potrà avvalersi di stagisti, giovani che vengono dall’Università e che possono svolgere in Corte un tirocinio formativo come previsto dalla legge, che insieme ai giudici togati si occuperanno della cosiddetta attività di spoglio, una sorta di screening preventivo. In questo modo, per esempio, se c’è una causa dove sia evidente un’inammissibilità dell’appello quel il vizio potrà essere subito rilevato”.
 

 
Grosse carenze d’organico anche tra gli amministrativi

Qual è la situazione della pianta organica?
“L’organico è insufficiente. In Corte d’Appello a risentire gravemente della carenza di organico è la Sezione unica civile, che si regge con il presidente, un solo magistrato dei tre consiglieri civili previsti in pianta organica e un magistrato con la cosiddetta applicazione extradistrettuale proveniente dalla vicina Palermo, che ha un incarico semestrale temporaneo in scadenza. A noi giudici è richiesta una cultura d’impresa sotto il profilo organizzativo. Una buona organizzazione non può mai esserci se non c’è la stabilità della risorsa. Attualmente mancano ben tre consiglieri, due dell’area civile e uno del lavoro e manca anche un consigliere del settore penale. Ci sono, è vero, i giudici ausiliari che sono sicuramente una grande risorsa, ma per formazione professionale non possono incamerare cause di un civile delicato, per cui ci vuole la giusta professionalità. Quei quattro giudici ausiliari su sei di cui dispongo hanno sì lavorato ma per quel che hanno potuto non potendo occuparsi di un certo tipo di cause. Altro nodo brutto è che in appello abbiamo avuto tutte le cause per irragionevole durata del processo, le cosiddette cause Pinto, anche di Palermo. Ora per fortuna questo è stato modificato con la nuova normativa che ha ridisegnato la competenza per la equa ripartizione Pinto: ci occuperemo solo di quelle nissene. Questo consentirà di scaricare un po’ di lavoro. In sostanza, c’è una carenza di organico molto forte: su dieci previsti in pianta organica mancano ben quattro magistrati. Una Corte che regge un distretto così ampio non può reggersi su un organico così ridotto. Io non demordo, continuo a chiedere le risorse necessarie al Csm”.
E sul fronte dell’organico delle cancellerie qual è la situazione?
“Questo è un altro grave problema perché sarebbe fondamentale potenziare il personale amministrativo. La dirigenza amministrativa della Corte d’Appello ha segnalato, infatti, che c’è una fortissima scopertura: oggi abbiamo 58 unità con una scopertura del 21%, vale a dire 12 unità. L’obiettivo della presidenza è valorizzare al massimo il personale che c’è e al contempo distribuire le premialità retributive in ragione degli apporti individuali. Ho un personale fortemente qualificato che riesce a far funzionare la macchina della giustizia pur con le evidenti difficoltà legate alla carenza di personale”.

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