Ambiente, vent'anni in discarica - QdS

Ambiente, vent’anni in discarica

Rosario Battiato

Ambiente, vent’anni in discarica

mercoledì 01 Novembre 2017

Da Cuffaro a Crocetta tutte le emergenze sono rimaste irrisolte: smog, depurazione, rifiuti e reti colabrodo. Sicilia di fronte a un bivio: o gli impianti energetici o un sistema fallimentare

PALERMO – C’è una foto ingiallita che racconta sempre la stessa storia da decenni: uno sfondo tragicamente uguale con le sue emergenze ambientali e un fantasma governativo incapace di affrontare le riforme. E, come avviene in tutte le ghost stories, il passato torna sempre, così l’oggi di Sicilia è sempre più uguale a ieri, perché dieci anni fa avremmo potuto certificare le stesse criticità, cambiando soltanto i nomi degli attori. Non sappiamo ancora come diventerà la Sicilia col prossimo governatore, ma di certo merita più di quello che non è stato fatto. Anche perché altri cinque anni di immobilismo, con un’amministrazione timida a fronte di emergenze ambientali sempre più incombenti, potrebbero essere fatali per tutti.
 
Depurazione. Lo stallo nel settore è un concentrato dei danni prodotti dal non fare in Sicilia. E tra Cuffaro, Lombardo e Crocetta ben poco è cambiato sul fronte degli investimenti per migliorare il dato medio di trattamento delle acque reflue, con una popolazione servita che mediamente oscilla intorno al 60%. Azioni limitate, anche se, nel 2012, il Cipe aveva stanziato un miliardo di euro da investire sugli impianti, con cantieri che, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono mai partiti. Ci sono voluti due commissari, dapprima l’assessore Contrafatto, e poi, da quest’anno, tramite un decreto di fine 2016, un supercommissario nazionale, per agitare le acque.
Dei 900 milioni di euro programmati, almeno un terzo potrebbe essere già investito nel corso del 2017, comunque a distanza di cinque anni dal provvedimento del Cipe. Non si fermano, in compenso, le procedure Ue: la 2009_2034 contesta la cattiva applicazione della direttiva 1991/271/CE relativa al trattamento delle acque reflue urbane e si trova in sentenza di condanna (causa C-85/13), la 2004_2034 (causa C-565/10) in decisione ricorso (dati eurinfra.politichecomunitarie.it) in seguito a condanna. In ballo ci sono 5 agglomerati isolani su 35 (nella prima) e 51 su 80 (nella seconda). La terza procedura è la 2014/2059 che si trova al “parere motivato”, l’ultimo passo prima del deferimento alla Corte. In questo caso ci sono 175 agglomerati isolani coinvolti su 758 sul totale nazionale. Senza interventi la strada è segnata.
 
Rifiuti. Non va meglio la situazione relativa ai rifiuti. Dai tempi di Cuffaro è la grande emergenza irrisolta, soltanto che, a differenza di quindici anni fa, il tempo a disposizione sta finendo e le discariche, che mediamente ingurgitano l’80% di circa 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (dati Ispra 2015), cominciano a essere sature. Rispetto agli anni precedenti, quando i siti erano numerosi e la capacità di abbancamento sembrava non avere fine, adesso la situazione è cambiata.
La Regione ha provato a spingere sull’acceleratore della differenziata – gli ultimi dati hanno portato la rd fino al 20%, comunque trenta punti in meno della media nazionale –, ma non ci sono gli impianti per avviare la filiera del riciclo.
L’era Crocetta è sostanzialmente passata senza nessuna novità di rilievo. L’aggiornamento del piano rifiuti è tuttora bloccato all’assessorato Territorio e ambiente con un’appendice “sospesa” che aprirebbe alla chiusura del ciclo con la valorizzazione energetica, un passaggio richiesto dal governo nazionale sin dal 2015. Ci sarebbero anche gli investitori interessati, ma il quinquennio è passato invano e i nuovi candidati – Cancelleri e Fava su tutti – hanno già manifestato una contrarierà che va contro i modelli migliori già esistenti in tutta Europa. È un sistema in blocco anche sul fronte dell’avvio delle nuove società: le Srr che dovrebbero sostituire gli Ato in liquidazione non sono ancora del tutto operative, eppure sono proprio questi enti di governo che dovrebbero fare i bandi per i termovalorizzatori.
Sul piano rifiuti si gioca un’altra partita determinante a Bruxelles. L’Isola, con la procedura 2015/2165, è nel mirino dell’Ue per quanto riguarda i Piani regionali di gestione dei rifiuti, in particolare per la violazione relativa al mancato aggiornamento. Un allarme sottolineato anche dall’assessore Contrafatto che, in una recente intervista al GdS, ha ricordato che nel 2014 aveva dovuto approvare il Piano per evitare la sanzione. Toccherà ai nuovi approvare l’ultimo aggiornamento posteggiato all’assessorato ed evitare nuove sanzioni.
E sui rifiuti resta comunque un’altra procedura di infrazione: la 2003/2077 riguarda la “non corretta applicazione delle direttive 75/442/CE sui ‘rifiuti’, 91/689/CEE sui ‘rifiuti pericolosi’ e 1999/31/CE sulle ‘discariche’” che riguarda ancora ben 9 siti isolani, due in meno rispetto agli 11 originariamente inseriti nell’elenco degli irregolari della sentenza della Corte di Giustizia Ue che nel 2014 aveva condannato l’Italia a pagare una sanzione forfettaria da 40 milioni e una semestrale da circa 200 mila euro a sito. Ogni sei mesi l’Isola costa all’Italia circa 2 milioni di euro di sanzioni, alle quali si aggiungono i danni ambientali.
 
Inquinamento. L’aria siciliana è migliorata, almeno questo dicono gli ultimi dati dell’annuario Arpa, ma restano ancora i superamenti ai limiti di legge. L’area del sud-est è quella maggiormente coinvolta, ma ci sono criticità anche sul fronte degli strumenti perché non è ancora stato approvato il Piano regionale di qualità dell’aria, redatto dall’Arpa e apprezzato dalla Giunta regionale sei mesi fa, che resta in attesa del via libera alla procedura di Vas (valutazione ambientale strategica) da parte dell’assessorato dell’Ambiente. Anche in questo campo ci sono due vecchie procedure di infrazione per l’Isola: la 2015/2043 per i superamenti del valore limite per gli ossidi di azoto (Nox) e la 2014/2147 per i superamenti del valore limite per il particolato fine Pm10 e per la mancata attuazione di interventi di risanamento della qualità dell’aria.
 

 
Performance ambientali. Arriva la solita bocciatura
 
PALERMO – C’è un’Italia verde e poi ce n’è un’altra ancora grigia. La prima gestisce il ciclo dei rifiuti al meglio, depura gli scarichi, contiene i consumi idrici, investe sulle rinnovabili e ha significative esperienze di rigenerazione e rifunzionalizzazione degli spazi pubblici. Questa Italia ha nome e cognome: Mantova (1°), Trento (2°), Bolzano (3°), Parma (4°), Pordenone (5°) e Belluno (6°) guidano la classifica di Ecosistema Urbano 2017 “dimostrando di essere città dinamiche – si legge nella nota di Legambiente – e di credere fortemente nel cambiamento”. Poi c’è l’altra Italia, quella costellata dai centri urbani siciliani che si prendono alcune delle peggiori prestazioni. Nelle ultime quindici postazioni della classifica generale (dalla numero 90 alla 104) ci sono ben sette isolane: Messina (90), Trapani (93), Siracusa (97), Agrigento (98), Catania (100), Palermo (101), Enna (104). Poco più in alto troviamo Ragusa (83) e Caltanissetta (78).
 
Le città siciliane, insomma, di certo non possono definirsi “intelligenti”, ma probabilmente hanno persino difficoltà a rendersi appena sostenibili. I dati di Ecosistema Urbano 2017 di Legambiente, l’annuale rapporto sulle performance ambientali delle città capoluogo realizzato con il contributo scientifico dell’Istituto di ricerche ambiente Italia e la collaborazione editoriale de Il Sole 24 Ore, certificano una situazione preoccupante. Catania e Palermo superano di poco il 10% di rifiuti raccolti in maniera differenziata, mentre ci sono realtà che superano il 50% come Verona, Venezia, Milano e Firenze.
 
A Palermo la dispersione idrica è addirittura aumentata tra il 2012 e il 2016 e ormai travalica abbondantemente il 50%, mentre Catania, seppur in contrazione rispetto al 2012, perde ancora una percentuale intorno al 45%. Assieme a Bari sono le tre città più sprecone d’Italia. Oltre il 35% si trovano anche Agrigento, Enna, Siracusa e Trapani.
 
La depurazione resta un grande cruccio. “Gli ultimi dati Istat relativi alla percentuale di popolazione servita da rete fognaria delle acque reflue urbane relativi al 2015 (ancora provvisori) – si legge nel report – sembrano mostrare una situazione più critica rispetto alla rilevazione precedente”. Soltanto in 39 capoluoghi più del 95% degli abitanti è “allacciato alla rete e, di questi, solo 33 riescono a coprire la totalità, o quasi, della popolazione con percentuali che oscillano tra il 98% e il 100%”. Ci sono 12 città che non raggiungono l’80%. E poi ci sono Palermo e Catania che non arrivano nemmeno al 50%.
 
Qualche nota positiva giunge soltanto dalla qualità dell’aria nei centri urbani, ma anche qui non c’è poi molto da esultare. Siracusa, dopo i record degli anni passati per i superamenti, si prende, a sorpresa un livello “buono”, unica delle siciliane, mentre risulta “insufficiente” l’aria di Caltanissetta, Catania, Messina, Ragusa e Trapani. Nel blocco dei super cattivi, cioè con qualità dell’aria “scarsa”, si piazza Palermo.
 
Il quadro delle cinque classi (ottima, buona, sufficiente, insufficiente e scarso) è stato fornito da Legambiente sulle base di alcune considerazioni: nella migliore (“ottima”) compaiono quelle che rispettano tutti i valori guida OMS, che sono più restrittivi rispetto alle norme UE, per Pm10, Pm2,5 e NO2. Nell’ultima (“scarsa”) “compaiono invece i centri urbani che superano per almeno due parametri i limiti della normativa comunitaria sia per Pm10 e Pm2,5 che per NO2 e O3”. Assenti i dati di Agrigento ed Enna.

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