Il falso problema dei tassi bassi - QdS

Il falso problema dei tassi bassi

Carlo Alberto Tregua

Il falso problema dei tassi bassi

venerdì 10 Novembre 2017

Competitività e produttività

Si dice che il cavallo non beva come metafora per indicare che nonostante vi sia cospicua disponibilità di risparmio, non vi sono corrispondenti investimenti.
Tuttavia, la verità è un’altra: che il sistema bancario italiano, semisoffoccato dai Npl (Non performing loans, cioè i crediti incagliati), ha chiuso parzialmente i prestiti alle imprese ed ai cittadini. In altri termini, il travaso da risparmi a impieghi si è fortemente rallentato in questo lungo periodo ottennale di crisi.
Per questo motivo, Mario Draghi ha pilotato la Bce con l’iniziativa del Quantitative easing, cioè l’acquisto di 60 miliardi al mese, per un lungo periodo, di Bond statali nel portafoglio delle banche.
Oggi la Bce ha in pancia 2.400 miliardi di Bond dei vari Stati, ma ha deciso di tagliare gli acquisti a circa la metà, da gennaio a settembre 2018.
La conseguenza sarà un aumento dei tassi che il gestore del debito sovrano italiano dovrà effettuare per rendere più appetibili i Bond di nuova emissione.
 
Se i tassi bassi sui Bond favoriscono l’Erario, tanto che l’Italia ha pagato circa 20 miliardi in meno per anno, favoriscono anche le esportazioni, ma come ogni contrappeso, penalizzano i risparmiatori, penalizzano i grandi fondi, i quali a loro volta utilizzano la raccolta per fare investimenti e quindi alimentare il mercato.
Non è quindi tutto oro quello che luccica: costringere i tassi dei titoli degli Stati membri verso il basso, alla fine del processo, danneggia lo sviluppo.
Vi è un’ulteriore conseguenza, e cioè che l’inflazione non cresce e non va a quel livello fisiologico che è circa il 2%, come anche prevede il Trattato di Maastricht.
Se da un canto può sembrare utile ai consumatori un’inflazione bassa perché non fa aumentare i prezzi, dall’altro non fa aumentare i consumi, non fa girare i macchinari delle industrie, del commercio e dei servizi, non crea posti di lavoro.
Vi dovrebbe essere corrispondenza dell’andamento tra il tasso di inflazione e i tassi di remunerazione dei Bond. Così come è in atto, la situazione ricorda il malato intubato, mantenuto in vita in modo artificioso.
 
 
La ripresa dovrebbe far ritornare il meccanismo descritto alla normalità, cioè con l’inflazione al 2% e i Bond che rendono mediamente il 4%. Anche le banche potrebbero aumentare i tassi sugli impieghi, ma nel complesso una macchina economica che gira bene riesce a sostenere questi maggiori oneri col vantaggio che la crescita viene ulteriormente alimentata.
L’aumento del Prodotto interno lordo ha due ripercussioni positive: la prima fa aumentare le entrate dello Stato; la seconda fa diminuire il coefficiente del rapporto debito/Pil.
Tuttavia, va ricordato che anche il ribasso di tale coefficiente non significa che il debito in valore assoluto diminuisca, con la conseguenza che neanche gli interessi su di esso diminuiscano, anzi per effetto del meccanismo prima descritto inevitabilmente aumenta.
Governare la fase delle vacche magre è difficile. Più difficile è mettersi in regola per affrontare quella delle vacche grasse.
 
Ed è proprio la capacità o l’incapacità di apprestarsi a vivere un periodo economico buono che è la discriminante della politica di un Paese.
Non è un caso che il Pil in Germania e in Spagna cresca al 3% e in Italia il Governo faccia i salti di gioia per una crescita inferiore alla metà. Come si spiega questa differenza?
In quei Paesi hanno fatto le riforme da oltre dieci anni, hanno aumentato la competitività nel sistema economico, hanno messo in carreggiata la pubblica amministrazione sotto il profilo dell’efficienza e della funzionalità.
Nel nostro Paese la competitività è bassa, e con essa la produttività, sia del settore pubblico che di quello privato. Ed è proprio su questi due parametri che bisogna lavorare intensamente perché senza il ritorno a livelli medi europei la nostra crescita sarà sempre più compressa e non potrà eguagliare quella dei Paesi capofila.
La prospettiva di un ritorno alla normalità è a portata di mano. Le prossime elezioni faranno perdere 6/8 mesi.
Il peggio è che non determineranno un vincitore. Quindi, il ritardo aumenterà, con buona pace delle inutili promesse.

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