L'autonomia della Regione siciliana è fallita - QdS

L’autonomia della Regione siciliana è fallita

Carlo Alberto Tregua

L’autonomia della Regione siciliana è fallita

martedì 14 Novembre 2017

Statuto utile ai privilegiati

I referendum lombardo-veneto chiedono più autonomia. Se quei promotori fossero vissuti in Sicilia, la speculazione che c’è dietro non l’avrebbero fatta.
Il federalismo, che significa il funzionamento istituzionale, regione per regione, ha un senso se vi sono le radici cioè se le popolazioni sono abituate ad amministrarsi bene.
Non è il caso del nostro Paese che si è riunito sotto un’unica bandiera nel 1861, ma che ha un inno nazionale mai codificato nella Costituzione, pare attribuito a Goffredo Mameli che lo avrebbe scritto in una notte, ma il cui vero autore sembra sia un frate genovese, tale Anastasio Cannata. Dunque, l’inno non è di Mameli e non è nazionale: che lo cantiamo a fare?
Le quattro Repubbliche marinare Venezia, Pisa, Amalfi e Genova, erano fiere delle loro capacità di autogestirsi. Poi furono inglobate. Lo stesso dicasi per ducati, principati ed altri territori provenienti anche dal Medioevo. Lo Stato del Vaticano fu l’ultimo a cadere nel 1870 con la presa di Porta Pia. Ma si fa per dire perché è là, vivo e vegeto, nel cuore di Roma, protetto dalle colonne del Bernini.
 
La nostra Costituzione prevede cinque regioni a Statuto speciale e due Province autonome. Gli statuti non sono identici. Quello siciliano ha più elementi di autonomia degli altri perché l’Assemblea costituente concesse di inserirlo tale e quale nella Costituzione senza modificare neanche una virgola.
Se la Sicilia avesse avuto una classe dirigente degna di questo nome, lo Statuto sarebbe stato lo strumento per farla diventare una delle regioni più ricche d’Europa. Ma la classe dirigente siciliana, sempre prona a chiedere favori allo Stato centrale, ha trasformato quell’ottimo strumento in un usbergo, una sorta di protezione per creare privilegi e clientelismo. Cosicché, dopo 70 anni, dobbiamo amaramente constatare che l’autonomia siciliana è fallita.
Ma anche l’autonomia della Valle d’Aosta è fallita. In quella piccola regione, la corruzione è dilagata e con essa i privilegi .
Dell’autonomia sarda non possiamo dire bene perché quella Regione è rimasta arretrata con Pil pro-capite e reddito pro-capite rispettivamente al penultimo e terzultimo posto della graduatoria delle Regioni. Eppure, anche là vi sono tesori paesaggistici che dovevano essere sfruttati ma sono stati utilizzati dai privilegiati.
 
 
Le uniche realtà italiane ad aver fatto buon uso dell’autonomia sono il Friuli-Venezia Giulia e Province autonome di Trento e Bolzano.
Per quanto esse abbiano un’autonomia di livello inferiore rispetto a quella della Sicilia, essa è stata ben mirata al progresso e allo sviluppo tanto che quelle popolazioni possono definirsi ricche rispetto alle consorelle meridionali.
Tuttavia, anche in questi casi, non è accettabile che l’interesse nazionale venga subordinato a quello regionale perché autonomia non significa far prevalere i localismi sugli indirizzi dello Stato. Semmai, il contrario.
Nella nostra Costituzione vige il principio della sussidiarietà, secondo il quale i soggetti principali dello Stato sono i Comuni. Le Province intervengono laddove i primi non hanno competenze, le Regioni intervengono quando Comuni e Province non hanno competenze, lo Stato interviene quando le Regioni non ce la fanno.
 
Ma questo impianto non eslude per niente che siano il Governo e il Parlamento ad imporre le linee guida su materie strategiche e di sviluppo, mentre oggi vi è una grande confusione nelle cosiddette materie concorrenti, cioè quelle sulle quali intervengono lo Stato e le Regioni, con la conseguenza che vi è un notevolissimo contenzioso innanzi la Corte costituzionale per decidere di chi è la competenza.
La riforma costituzionale, bocciata il 4 dicembre, metteva dei limiti alle competenze delle Regioni e depennava molte materie concorrenti. Il popolo non l’ha capito e l’ha bocciata. Così la confusione e l’inazione continuano.
Lo Statuto siciliano, dunque, va ampiamente revisionato, soprattutto nella parte relativa alle materie concorrenti: o decide lo Stato, o la Regione. E poi vanno eliminati tutti quegli articoli che consentono la formazione e il mantenimento dei privilegi: per esempio, quello di dipendenti e dirigenti regionali che guadagnano un terzo in più dei loro omologhi. O l’altro dell’Ars che costa il doppio del Consiglio della Lombardia. O la Sanità che spreca risorse senza efficienza.

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