Acquacoltura, Sicilia cenerentola del settore - QdS

Acquacoltura, Sicilia cenerentola del settore

Chiara Borzi

Acquacoltura, Sicilia cenerentola del settore

venerdì 17 Novembre 2017

Secondo il rapporto di CSConfagricoltura, nell’Isola presenti solo 17 imprese nonostante la reddititività constatata. In Italia tremila attività. Malgrado la crisi, crescita del 60% in cinque anni

CATANIA – Con la pubblicazione dei bandi e le graduatorie del progetto “Acquacoltura 2.0” nato dal Feamp 2014-2020 sono stati messi concretamente a disposizione delle aziende siciliane 16 milioni di euro. Le imprese dedite all’acquacoltura presenti in regione sono 17, non più 15 come censito prima della pubblicazione degli ultimi dati del rapporto “Acquacoltura in Italia e nel mondo” a cura di CSConfagricoltura. Queste commerciano tutte all’interno di un settore redditizio e che seppur costretto a convivere con la crisi ha visto accrescere il numero di aziende attive del 60 per cento in 5 anni. In Italia esistono più di 3 mila attività impegnate nell’allevamento e la vendita per il consumo finale di pesci, molluschi e crostacei, ma la maggior parte di queste non sono operano a Sud.
 
La capitale dell’acquacoltura è il Veneto con 829 aziende , seguita a notevole distanza da Emilia-Romagna (469 aziende) e Piemonte (367 aziende). La Sicilia conta appena 7 imprese in più della Valle d’Aosta, 6 in più della Calabria e 4 in più rispetto il Molise. In un confronto con il Sud la Campania conta invece 123 aziende e la Puglia 131, ovvero rispettivamente 106 e 114 imprese in più rispetto la Sicilia. Il numero degli impianti rimane mediocre anche analizzando i dati forniti da CSConfagricoltura riguardo le aziende impegnate con l’allevamento all’ingrasso per consumo finale nelle regioni italiane. In questo caso il dato regionale si riduce, passando da 17 a 14 imprese impegnate a confronto, ad esempio, con le 617 del Veneto.
 
Come si può leggere nel rapporto “Acquacoltura in Italia e nel mondo” circa il 70 per cento della produzione complessiva dell’acquacoltura italiana proviene da quattro regioni: Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Puglia. La più elevata produzione di pesce si realizza in Friuli, Veneto, Lombardia e Puglia, mentre la produzione di crostacei si concentra in Umbria, Puglia, Veneto ed Emilia Romagna. Secondo queste stime la Sicilia risulta completamente esclusa dai primati di un commercio in cui, guardando alle semplici peculiarità naturali, potrebbe poter dire la propria. Secondo gli ultimi dati disponibili, la regione avrebbe prodotto in totale quasi 4.8 migliaia di tonnellate di prodotto tra pesce e molluschi (la Sicilia non alleva crostacei), quindi ricavato meno prodotto delle Marche (5.071 migliaia di tonnellate) e la Sardegna (6.106 migliaia di tonnellate), poco più della Lombardia (4.302 migliaia di tonnellate) e del Lazio (4.351 migliaia di tonnellate). La produzione totale siciliana è molto distante dai dati delle primatiste Emilia-Romagna (42.294 migliaia di tonnellate prodotte e 37.500 migliaia di tonnellate di differenza a favore) e Veneto (31.255 migliaia di tonnellate prodotte e 26.4 migliaia di tonnellate di differenza a favore), che rimangono due regioni che sfruttano sia la presenza di acqua dolce che di acqua salata.
 
Ci sono mercati importanti a cui l’Italia si affaccia già da protagonista e in cui la Sicilia gioca un ruolo di primo piano, come nel caso dell’orata. Il 96% dell’offerta di questa specie dipende dall’acquacoltura e l’Italia insieme a Spagna e Grecia ospita il mercato più grande d’Europa. Secondo i dati restituiti dall’Osservatorio europeo del mercati dei prodotti della pesca e l’acquacoltura, in Italia Lazio, Toscana e Sicilia sono le tre regioni al top per la produzione da allevamento. Può non essere un caso. Il mercato dell’orata può rappresentare piuttosto una via da seguire per recuperare il gap almeno con gli altri territori del sud (Puglia e Campania). Il tutto tenendo presente lo scenario futuro riservato all’acquacoltura dove si attende una triplicazione della domanda che richiede già oggi alle imprese attive nel settore investimenti sulla produzione, l’ammodernamento, il miglioramento delle condizioni di lavoro, d’igiene e nel rapporto con l’ambiente.

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