Agricoltura malata, danni da 800 mln - QdS

Agricoltura malata, danni da 800 mln

Chiara Borzi

Agricoltura malata, danni da 800 mln

venerdì 08 Dicembre 2017

Confagricoltura: rischio Virus degli agrumi in testa, ma anche Xylella, Mal secco, Tripide dell’olivo, Cimici del nocciolo. Regione non spende i fondi Ue su fitopatie e ritarda i pagamenti per espianto piante infette

CATANIA – La Sicilia convive con le malattie delle piante da oltre cento anni nella certezza di subire danni ad una produzione agricola che conserva l’obbligo di rimanere competitiva in virtù di denominazioni d’eccellenza riconosciute in tutto il mondo. Difficile elaborare una stima delle perdite economiche che hanno interessato il primo settore siciliano per colpa di virus e insetti, in generale tutte le fitopatie che hanno distrutto raccolto e guadagni attentando – è il caso di dirlo – a patrimonio-brand che rappresenta fonte di guadagni milionari.
 
La Sicilia ha imparato a convivere con le fitopatie e gli imprenditori agricoli a limitare i danni inflitti dalle forme più o meno virulente delle malattie che, ormai, caratterizzano la produzione di arance, limoni, ortaggi e perfino olive e nocciole.
 
Se dal 2002 la Regione Sicilia ha imposto la lotta obbligatoria alla Tristeza degli agrumi, ovvero stabilito l’eliminazione di tutte le piante infette, secondo quanto comunicatoci dal responsabile del Servizio di Coordinamento del Servizio Fitosanitario regionale, Vito Sinatra, è notizia recente che la Commissione europea Agricoltura abbia intenzione di eliminare la misura di lotta obbligatoria, per imporre l’isolamento delle zone colpite e dunque una convivenza consapevole e controllata con il cosiddetto CTV, virus così diffuso da essere considerato endemico.
 
La Tristeza degli agrumi siciliani è una questione che ha raggiunto la ribalta nazionale grazie ad un recente servizio del programma televisivo Le Iene. La tv ha avviato un’azione più incisiva dello stesso tavolo operativo aperto dal Ministero dell’Agricoltura quasi due anni fa, dedicato all’agrumicoltura e i suoi problemi (dunque anche alla Tristeza), da cui però non è ancora uscita ancora alcuna soluzione operativa. Ed inoltre, la Sicilia aspetta ancora la pubblicazione del bando 5.2 del Psr 2014-2020 dedicato alle fitopatie.
 
La nostra regione vive il rischio della produzione zero di arance, si addossa il rischio di vedere scomparire le varietà Tarocco, Sanguinella, Moro, Vaniglia. Sono oltre 40 mila (forse quasi 80 mila) gli ettari di agrumeti che servirebbe rinnovare e, secondo una stima fatta da Confagricoltura Catania, nei prossimi 10 anni sarebbe a rischio il 15 per cento del prodotto. Quel che viene chiesto all’agrumicoltore è di estirpare attendendo un piano di riconversione che quindi impone una spesa, la quale a sua volta è impossibile da ammortizzare perché non è previsto alcun sostegno specifico.
 
Immaginando di dover ripristinare un ettaro di agrumeto, in cui si possono inserire in media 500 piante al costo singolo di 9 € l’albero, scopriamo che un imprenditore agricolo deve preventivare di sobbarcarsi 4.500 € di esborso e aspettare almeno 3 anni per recuperare “naturalmente” la spesa grazie ad una produzione media di 50-60 kg di arance.
 
I danni più ingenti derivano dalla perdita del raccolto ed infatti: nell’ipotesi per cui da ogni albero è possibile guadagnare 40 € almeno di frutto, quindi da ogni ettaro 20 mila euro, ne segue che essendo a rischio almeno 40 mila ettari di aranceto siciliano, il danno economico sarebbe stimato intorno agli 800 milioni di euro. Esattamente 850 milioni se vogliamo considerare anche il costo della prevenzione.
 
Con i limoni, ed i particolare i limoni Igp di Siracusa, la perdita rischia di essere ancora più grave perché il costo di un nuovo alberello varia dai 15 euro ai 20 e l’ingresso a regime della coltura avviene dopo 10 anni e a seguito di 4 anni d’improduttività.
L’associazione Limone Igp di Siracusa non ha in organico dati esatti sul danno provocato dalla fitopatia del Mal secco, parassita che infesta la terra siciliana da più di cento anni, ma ha riferito di attuali 6 mila ettari danneggiati da un mix tra fitopatia e agenti atmosferici.
 
“Negli ultimi tre anni la prevenzione è aumentata – ha riferito il presidente dell’associazione Fabio Moschella -, ma abbiamo dovuto registrare anche la scomparsa di un calendario dei trattamenti che negli altri anni ha garantito un intervento programmatico contro i danni del Mal secco. So che l’Università di Catania – ha specificato Moschella – ha fatto molta ricerca su quelle che banalmente vengono chiamate piante resistenti alle fitopatie, ma da quel che sono a conoscenza, viviamo il paradosso di non poter sfruttare a pieno questo studio per via dei limiti imposti agli ogm”.

Sembra essere di tenore ben diverso il danno inflitto dal tripide dell’olivo, insetto che ha colpito gli oliveti siciliani in questi anni mettendo a repentaglio la produzione di olio. “In merito al tripide dell’olivo – ci ha spiegato il tecnico Giacomo Oro – non ho notizie di danni rilevanti almeno per quanto riguarda la Sicilia Sud-occidentale. La tutela della produzione olivicola passa inevitabilmente dal buon mantenimento delle piante attuando erpicature, trinciature, concimazioni, ma soprattutto adeguate potature, mantenendo la chioma sfoltita e ben areata, evitando umidità che favoriscono il proliferare di tutte le malattie fungine. Inoltre – ha evidenziato Oro – eliminando le parti più vecchie e indebolite si eliminano possibili ricettacoli dove sverna proprio un insetto come il Tripide”.
Un ultima battuta va, infine, doverosamente riservata alla Xylella. Una fitopatia che non ha sconvolto la Sicilia come la Puglia, ma che non va sottovalutata in virtù delle prime avvisaglie di contagio rintracciate nel 2015.
 

 
La parola a Giovanni Selvaggi, presidente di Confagricoltura Catania
 
CATANIA – Da sempre in prima linea per tenere viva l’attenzione sui problemi che riguardano il settore agrumicolo, il presidente di Confagricoltura Catania, Giovanni Selvaggi, ha voluto esprimere ancora una volta la necessità di lottare seriamente le fitopatie e il Ctv, anche attraverso la volontà di un’imprenditoria agricola seria che voglia investire sulla rinascita della produzione.
“Ad oggi il governo nazionale non ha preso iniziativa contro il problema della Tristeza, si parla solo di estirpazione e successiva scelta d’innesti compatibili. Il problema è che il genoma di questa fitopatia è variabile – ha specificato Selvaggi – c’è Tristeza accentuata sia in pianura che in collina. Complessivamente sarebbero 80 mila gli ettari di agrumi da rinnovare, non 60 mila, e come in passato viviamo il rischio della produzione zero. Il danno economico consiste soprattutto nella mancata produzione, la decrescita che varia in base alle zone ci consegna un dato drastico: nei prossimi 10 anni potremmo perdere il 15 per cento del prodotto. La Tristeza è drammatica perché non si manifesta subito, prima il frutto diventa più piccolo e solo poi scompare definitivamente”.
Scoperta la fitopatia all’agrumicoltore non resta che tagliare tutto. “L’imprenditore può solo estirpare in attesa che arrivi un piano di riconversione che non arriverà mai – ha spiegato Giovanni Selvaggi -. L’agrumicoltore deve così addossarsi personalmente una spesa media di 2.500€ ad ettaro per la cura delle piante e il personale, almeno 4.500€ per l’acquisto di nuove piante, più 3.000€ per l’impianto d’irrigazione. Considerate ulteriori spese, si tratta di circa 15 mila euro che non vengono sovvenzionati da nessuno e che al massimo vengono finanziati a fondo perduto, creando così ulteriori debiti. Dovremmo smetterla con il sostegno a fondo perduto – ha spiegato Giovanni Selvaggi – per optare verso delle forme di finanziamento agli agrumicoltori che prevedano una semplice dilazione di pagamento in più anni, a tasso agevolato, garantiti dal governo”.
 

 
Senza scarto delle arance anche -0,3 per cento di Pil
 
Nel panorama delle risorse disponibili all’uomo e al mercato, le fitopatie sono in grado di eliminare non solo alimenti preziosissimi, ma addirittura energia rinnovabile.
Dagli scarti delle arance è possibile produrre di tutto: dai tessuti, al cibo, al biogas. Se è già molto noto il progetto dell’azienda Orange Fiber è più recente la notizia che dal pastazzo delle arance si possono perfino produrre delle brioche per la più classica granita siciliana. Dagli appena tre impianti di biogas presenti (nel Nord Italia sono 1300) la Sicilia non è ancora in grado di sfruttare la grande opportunità offerta dal prodotto nascente dalla fermentazione di materiale organico in assenza di ossigeno, ovvero la rivoluzione verde prodotta da biomasse tipicamente mediterranee come il pastazzo o la sansa.
Secondo le stime, sono disponibili circa 300 mila tonnellate di pastazzo e 1 milione di tonnellate di sanse che potrebbero essere utilizzate in impianti di biogas o metano e/o per accelerare il processo di decarbonizzazione del settore dei trasporti che a sua volta, attraverso la produzione di biometano, entro il 2030 sarebbe in grado di generare un aumento del pil dello 0,3%.
In Sicilia rischiano di essere decimate perfino le nocciole ed in particolare la produzione dei Nebrodi, ritenuta tra le più importanti della regione. Tra ghiri e cimici del nocciolo a gennaio del 2017 è stato necessario un incontro tra l’ex assessore all’Agricoltura Antonello Cracolici e i rappresentanti del Comitato nocciolo patrimonio da tutelare. Per risolvere il problema portato dai ghiri (specie protetta) Cracolici immaginò un’azione da concordare con Ispra, mentre per le cimici la pubblicazione di linee guida da parte degli uffici tecnici regionali per contrastarne l’azione, infine parlò anche di un sostegno esigibile attaverso la misura 44D del Psr 2014-2020. Nessuna delle iniziative ha mai avuto seguito.

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