La spesa pubblica deve essere efficiente - QdS

La spesa pubblica deve essere efficiente

Carlo Alberto Tregua

La spesa pubblica deve essere efficiente

giovedì 14 Dicembre 2017

Il Piano aziendale come guida

Chi ci governa ha il compito ingrato di distribuire le risorse e, quindi, di preparare la Legge di bilancio annuale, in modo da ottenere i servizi più efficienti a favore dei cittadini.
Il principio secondo il quale la spesa pubblica debba essere efficiente è un principio di equità, in conseguenza del quale si perseguono obiettivi di interesse generale e di pubblica utilità.
L’enunciazione che precede sembra pura teoria, ma in effetti è il binario metodologico su cui devono essere impostate le leggi di spesa.
La prima discriminante è stabilire quanta parte di esse debbano essere destinate alla spesa corrente e quant’altra parte a quella per investimenti, sapendo – se si hanno cognizioni di macroeconomia – che la prima muove una leva di 1 a 1, mentre la seconda muove una leva da 1 a 5 o a 10.
Quindi, intelligenza e capacità vorrebbero che si destinasse agli investimenti la maggior parte delle uscite di Stato, Regione, Enti intermedi e Comuni.
 
Ma così non è perché i privilegiati, consorterie e consociazioni, tirano il lenzuolo dal proprio lato per ottenere contributi in varia forma ed a proprio vantaggio che danneggiano l’interesse di tutti.
La questione è cruciale: solo una classe politica forte e competente, con solidi base etiche, può rintuzzare gli assalti dei parassiti e decidere di spendere i soldi pubblici per ottenere risultati più elevati possibili.
Il guaio è che nelle pubbliche amministrazioni di ogni livello non esiste il Piano aziendale con la conseguenza che nessuno dei dirigenti può mettere a confronto le entrate con le uscite, e soprattutto i costi, con il numero e la qualità dei servizi.
Questa metodologia non è teoria ma concretezza, laddove si ottengano come risultati migliori servizi a parità di spesa delle risorse. Il che significa che occorre un confronto continuo, nell’elaborazione del Piano aziendale e nel controllo di gestione.
Qualcuno osserva che l’attività della Pubblica amministrazione non può essere paragonata ad una gestione aziendale. Ciò è frutto d’ignoranza della materia, la quale invece prevede la gestione aziendale nei servizi pubblici.
Sentiamo osservazioni in ordine alla possibilità di misurare la qualità e la quantità dei servizi in relazione alla spesa per la produzione degli stessi.
Chi osserva in tal modo o è ignorante oppure è in malafede. Possiamo comprendere l’ignoranza, ma non la malafede. Chi opera all’interno della macroeconomia sa bene che esistono indici e parametri per misurare l’efficienza della spesa. Non ci permettiamo di elencare testi e società di livello mondiale che offrono questi supporti, basta andare su internet per trovarne molti.
Mentre comprendiamo che dirigenti in malafede non vogliano preparare i Piani aziendali dei dipartimenti loro affidati, non ci rendiamo conto come dirigenti preparati non comprendano che senza un binario che preveda stazioni di fermata e tempi di percorrenza non si possa di fatto gestire una qualunque branca amministrativa.
Poi è del tutto grave che i contratti di dirigenti e dipendenti pubblici non prevedano premi o sanzioni, veri e non formali, per il raggiungimento di obiettivi o per il loro mancato raggiungimento.
 
La spesa pubblica deve essere efficiente. Ma così non è. Questa è una delle spiegazioni per cui la crescita del Pil nel 2017 sarà, probabilmente, intorno all’1,5% contro la media europea del 2,5%. E spiega anche perché la disoccupazione è all’11,7% contro la media europea dell’8,6 (Eurostat).
L’assenza del Piano aziendale consente a dirigenti e dipendenti pubblici di non aver alcun punto di riferimento per la produttività del loro lavoro. Se ci fate caso, nel lavoro della Pa non esiste il termine produttività. Quest’ultimo misura il rapporto tra spesa e risultati.
Se le amministrazioni pubbliche sono allo sbando, la responsabilità maggiore è del ceto politico che dovrebbe avere le competenze per varare leggi e sottoleggi nella direzione di irregimentare il suo funzionamento.
Invece il ceto politico è mediamente incompetente e quindi incapace di decidere come si debba eseguire la propria volontà.

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