Tacere è come essere complici - QdS

Tacere è come essere complici

Carlo Alberto Tregua

Tacere è come essere complici

venerdì 15 Dicembre 2017
Secondo un modo di dire britannico: “Si capisce che un budino è buono solo dopo averlo mangiato”. Sembra ovvio, ma non lo è perché molta gente prende decisioni al buio senza riflettere che occorre testare fatti e soluzioni prima di prendere decisioni. Le quali debbono essere soppesate e idonee a conseguire risultati positivi.
Nel fare c’è la componente della qualità, cioè fare bene. Ma quanta gente non fa bene, anzi fa male o non fa nulla? Ci chiediamo la ragione di questi comportamenti negativi? Forse sta nella mancanza di conoscenza, nell’assenza del sapere, che comporta improvvisazione e carenza di motivazione alla base di decisioni.
Insomma, comportamenti irrazionali e non legati al fine, che deve essere perseguito con grande determinazione e con altrettanta grande capacità.
Tutti possediamo il cervello, qualcuno lo fa lavorare adeguatamente, altri lo tengono a bagnomaria. Una risorsa così preziosa, quando rimane inutilizzata, è un delitto di fronte al creatore che ce l’ha fornita. Ma di questo molti non si rendono conto.
 
Spesso si tace perché non c’è nulla da dire, altre volte si tace per non infierire sugli altri, ed altre ancora si tace per indifferenza di fronte a storture per non implicarsi e invischiarsi in situazione spiacevoli.
Nella nostra civiltà questioni storte ce ne sono tante, di fronte alle quali dovrebbe montare la nostra indignazione e perfino la nostra rabbia. Il che ci dovrebbe indurre a prendere iniziative idonee a contrastare le storture e le iniquità e contribuire a trovarvi soluzioni.
Questo, però, nella maggior parte dei casi, non avviene. Perché è più comodo tacere che non attivarsi. Ma pochi ricordano che tacere è come essere complici di chi commette iniquità e di chi non fa il proprio dovere.
Certo, parlare come modo di affrontare le avversità non solo è inutile ma anche dannoso. Occorre fare, agire. Ma prima di fare bisogna saper fare, cioè bisogna avere quelle competenze che si acquisiscono con un grande lavoro interiore e con la voglia di saperne sempre di più.
E poi ricordarsi che occorre prima sapere fare e poi parlare, o saper parlare.
Quanti tromboni siamo costretti ad ascoltare nei convegni, nelle conferenze, nelle radio e nelle televisioni. Quanti articoli fumosi e privi di contenuto troviamo nei giornali. Molti hanno la malattia del microfono, ci comunicano come e perché farebbero certe cose o come e perché altre non le farebbero. Ma quando costoro devono passare dal dire al fare, diventano inermi come neonati.
Bisognerebbe stroncarli senza titubanza. Ogni persona ha il diritto di pensare dopo aver assolto il suo dovere di fare, e fare bene.
Costoro non capiscono che sono le difficoltà e non le comodità che fanno crescere, capire e allenano al saper fare. Mentre la vita facile induce a pensare cose diverse dalla realtà.
Ed è proprio la realtà che bisogna interpretare in ogni momento della nostra vita, perché la realtà rappresenta la verità, la cui ricerca deve essere uno degli obiettivi costanti del nostro vivere.
Non solo bisogna fare attenzione a quello che si fa, ma soprattutto a quello che si dice perché le parole sono come le pietre.
 
Si dice che le radio siano gli occhi della mente. In effetti vi sono molti intrattenitori e giornalisti che spiegano bene fatti e circostanze, illustrando lo scenario che gli ascoltatori non possono vedere.
Ascoltare la radio, soprattutto i programmi di non intrattenimento, aiuta molto a pensare e a formarsi quando guidiamo, quando mangiamo, quando facciamo la ginnastica e perfino quando passeggiamo.
Vediamo tanta gente che continua ad usare lo smartphone con il quale si inserisce nel mondo virtuale di internet, ma secondo le statistiche pochi ascoltano la radio. Un vero peccato impiegare il tempo in questo modo. Quel tempo che è limitato e che dura dal primo vagito all’ultimo respiro.
Pensiamoci, perché la consapevolezza di questo incontrovertibile fatto ci può aiutare a capire come sia indispensabile parlare a tempo e a luogo, con competenza, e soprattutto agire per il bene comune nel quale possono essere soddisfatte necessità personali. L’interesse proprio dopo quello generale!
 

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