Costi e fabbisogni fuori standard - QdS

Costi e fabbisogni fuori standard

Eleonora Fichera

Costi e fabbisogni fuori standard

sabato 16 Dicembre 2017

La distribuzione delle risorse premia l’efficienza di Comuni e Province. La Sicilia, però, è ancora ferma al palo. L’Italia si adegua alla L. 42/2009. In otto anni l’Isola non ha fatto quasi nulla

PALERMO – Un sistema di distribuzione delle risorse che premi le Amministrazioni virtuose e che promuova efficienza, equità e ottimizzazione degli Enti locali. Partendo da queste premesse la Legge delega sul federalismo fiscale numero 42 del 2009, ha introdotto il modello economico basato sui cosiddetti costi e fabbisogni standard. Il meccanismo è piuttosto semplice: i costi degli Enti locali vengono definiti prendendo come riferimento le Regioni virtuose, quelle che erogano determinati servizi in maniera più efficiente. A partire da queste, vengono stabilite le reali necessità finanziarie di Comuni, Città metropolitane e Province. A dettare legge, quindi, sono le Regioni meglio amministrate e meno “spendaccione”. Le altre sono costrette ad adeguarsi. Una volta stabiliti i costi massimi, infatti, queste avrebbero due sole alternative: provare a essere più efficienti e adeguarsi alla media nazionale, o potenziare altre forme di finanziamento per rimpolpare le proprie casse interne ed evitare il dissesto economico (tra queste, per esempio, una migliore gestione del potere d’imposizione fiscale e di riscossione dei tributi).
 
L’obiettivo principale del modello introdotto dalla 42/2009 è il superamento del meccanismo della spesa storica. Quest’ultimo, infatti, prevede che per decidere la quantità di risorse da distribuire agli Enti locali per permettere loro di garantire ai cittadini servizi adeguati, ci si basi su quanto, effettivamente, quegli Enti hanno speso l’anno precedente per quegli stessi servizi. Il risultato, però, è che gli stessi servizi possono avere costi completamente diversi da Nord a Sud. Costi e fabbisogni standard, invece, permetterebbero di annullare ogni diseguaglianza nella distribuzione delle risorse, rendendo omogenei in tutta Italia i costi necessari per garantire determinati servizi.
 
Circa un anno dopo la 42/2009, poi, si è stabilito il metodo per definire i valori concreti di costi e fabbisogni standard: il Decreto legislativo 216 del 2010, infatti, ha affidato a Sose (Soluzioni per il Sistema economico) il compito di raccogliere informazioni sulla reale spesa sostenuta dai Comuni per lo svolgimento delle funzioni fondamentali (amministrazione, Polizia locale, istruzione pubblica, settore sociale e asili nido, viabilità e trasporti, gestione del territorio e ambiente) e di metterla in relazione con la quantificazione dei servizi erogati. Ogni anno dal 2011, quindi, Sose distribuisce regolarmente una serie di questionari agli Enti locali delle sole Regioni a Statuto ordinario, ma la stragrande maggioranza degli amministratori degli Enti locali, risponde poco e male. Il risultato di questo generale disinteresse è che, nel 2016, gli Enti adempienti sono stati circa 4.000, più della metà del totale. A fine novembre, Sose ha distribuito i nuovi questionari, sperando in una maggiore collaborazione.
 
Se il resto d’Italia inizia, seppur con qualche fatica, ad adempiere ai propri doveri, in Sicilia tutto tace. Come un copione che si ripete sempre uguale, l’adeguamento della Regione alle normative nazionali si è presentato anche questa volta come un complesso percorso a ostacoli, fatto di grandi annunci e poca sostanza. Per recepire la Legge 42/2009, l’Isola ha impiegato più di sette anni. Sette anni passati a sfruttare l’Autonomia come scudo per difendere i privilegi derivanti dallo Statuto speciale. Nonostante, alla fine, i riferimenti legislativi siano arrivati (con la Legge regionale n.97 del 2015 e l’accordo Governo-Regione inserito nella Legge di stabilità 2017, che ha affidato a Sose la distribuzione dei questionari agli Enti locali isolani), di fatto l’adeguamento al meccanismo di costi e fabbisogni standard non è mai avvenuto.
 
A fine marzo, il responsabile dell’area Controllo spesa pubblica di Sose, Marco Stradiotto aveva dichiarato al nostro giornale che era già stata avviata la collaborazione con Ifel (la fondazione Anci per la finanza locale) per estendere il meccanismo anche alla nostra Isola. "Abbiamo in programma – aveva aggiunto – un incontro con la Regione Sicilia per definire il tutto. Contiamo di mettere a disposizione dei Comuni siciliani i questionari già nei prossimi mesi”. Poi, però, sono arrivate la campagna elettorale e le elezioni. L’adeguamento è stato messo da parte e il famoso incontro in programma non ha mai avuto luogo. Nel disinteresse generale un altro anno è andato perduto.
 
“I questionari pubblicati lo scorso novembre – ci hanno confermato nei giorni scorsi da Sose – sono compilabili dalle sole Regioni a statuto ordinario. Per quanto riguarda la Sicilia, è ancora tutto fermo”.
 
Adesso, toccherà al nuovo governo e al neoeletto Nello Musumeci, fare i conti con questo immobilismo.
 
 


Tocca al Governo Musumeci recuperare il tempo perduto
 
PALERMO – Il travagliato iter per il consolidamento del meccanismo di costi e fabbisogni standard sembra scontrarsi sempre più, in Sicilia come nel resto della Penisola, con la ritrosia degli amministratori degli Enti locali. Nei giorni scorsi quest’ultima si è manifestata nella sua pienezza in occasione della discussione sulla distribuzione delle risorse previste dal Fondo di solidarietà comunale. Secondo il programma originario, a partire dal 2013, una quota sempre crescente del Fondo doveva essere distribuito in base alla differenza tra capacità fiscali e costi standard (al netto dei rimborsi Imu/Tasi). Questa quota, che ammonta al 40% per l’anno 2017, dovrebbe, stando ai piani, crescere progressivamente (50% nel 2018, 70% nel 2019 e 85% nel 2020) fino a raggiungere il 100% nel 2021. Tale obiettivo originario, però, oggi più che mai sembra un’utopia. I sindaci dei Comuni inadempienti da tempo premono affinché le percentuali appena illustrate vengano ricalcolate al ribasso.
 
La manovra finanziaria approdata in Senato a fine novembre ha visto trionfare la via del rallentamento promossa dai sindaci inadempienti. La quota da ripartire sulla base della differenza tra le capacità fiscali e fabbisogni standard, infatti, è stata ricalcolata: 45% per il 2018 e 60% per il 2019. Resta invariato, almeno sulla carta e fino a questo momento, l’obiettivo 100% per il 2021.
 
Eppure, alla vigilia dell’approvazione della manovra, la Ragioneria generale dello Stato aveva avvisato gli amministratori sui rischi derivanti dai continui rinvii: non seguire correttamente il calendario previsto, secondo la Ragioneria, infatti, ostacolerebbe il rilancio degli investimenti in favore degli Enti locali. Ma questo non è bastato e oggi, tra la noncuranza con la quale vengono compilati (nella migliore delle ipotesi) i questionari della Sose e l’ostruzionismo costante degli amministratori degli Enti inadempienti, l’adeguamento a costi e fabbisogni standard appare più lontano che mai.

A farne le spese, in mondo che sembra rovesciato, sono quegli Enti locali che seguono la legge 42 del 2009, che compilano regolarmente i questionari messi a disposizione da Sose come previsto dal Dlgs 216/2010 e che riescono a fornire ai cittadini i servizi base in maniera efficace ed efficiente.
A quanto pare, quindi, dovremmo aspettare ancora qualche anno per assistere a una distribuzione più equa delle risorse che premi gli Enti virtuosi e costringa i più pigri ad adeguarsi ai criteri base della buona amministrazione.
 
E se tutto ciò è vero per i Comuni italiani, è ancor più palese nella nostra Isola. In questo, come in tanti altri ambiti, la Sicilia resta fanalino di coda della Penisola, affossata per anni da governanti troppo impegnati a difendere i propri privilegi per preoccuparsi di mettere in atto meccanismi che favoriscano una migliore erogazione dei servizi ai cittadini. Per evitare baratro e dissesto, adesso, resta quella che forse per l’Isola sarà l’ultima speranza: il nuovo governo Musumeci che non ha ancora iniziato a lavorare a pieno regime. Ai neoeletti spetterà il difficile compito di cambiare rotta rispetto ad anni di mala amministrazione, iniziando col mettere una pezza ai numerosissimi disastri e fallimenti perpetrati dal governo Crocetta. Tra questi, anche il mancato adeguamento al meccanismo di costi e fabbisogni standard. Un primo passo per sbloccare l’immobilismo, sarebbe, per iniziare, programmare il famoso incontro con Sose che ormai viene rimandato da circa un anno nel disinteresse generale.

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