Match Renzi-Di Maio: Euro Sì, euro No - QdS

Match Renzi-Di Maio: Euro Sì, euro No

Carlo Alberto Tregua

Match Renzi-Di Maio: Euro Sì, euro No

venerdì 22 Dicembre 2017

Le inutili discussioni politiche

Quando ci si approssima ad una campagna elettorale, vengono fuori argomenti che hanno lo scopo di influenzare l’opinione pubblica pur non avendo una ragion d’essere.
Una prima serie di argomenti riguarda le alleanze, i collegi e questioni generali fumose senza rilevanza. Poi, viene fuori l’altra questione del tutto irrealistica riguardante il permanere o l’uscire dall’Unione monetaria.
Sulla stessa, facciamo alcune osservazioni. In quindici anni, dal 2002 al 2017, da quando la lira sparì e l’Euro prese il suo posto con un cambio pari a 1.936,27 lire, penalizzante, l’Italia ha risparmiato circa 800 miliardi di interessi sul debito pubblico. Infatti, ai tempi della lira, l’incidenza sul Pil dello stesso era del 12%. Ora è più che dimezzato.
È vero che il cambio nel rapporto di uno a due fu il massimo che Ciampi riuscì ad ottenere nella trattativa, ma è anche vero che se non fossimo entrati nell’Unione, il popolo italiano oggi sarebbe in condizioni economiche disastrose.
 
Stare nel perimetro dei Diciannove, governato dalla Banca centrale europea, significa rispettare regole comuni, anche se non ancora estese a tutti i versanti perché, per esempio, manca ancora il Fondo monetario europeo, il che, pone la Bce in condizioni di svantaggio rispetto alla Federal Reserve statunitense (Fed) che invece ha più leve per governare il dollaro.
La crisi mondiale del 2007 iniziò con le banche americane sull’orlo del fallimento. Allora Obama le salvò tutte tranne la Lehman Brothers. Ancora oggi non si capisce il perché di questa eccezione.
Obama salvò anche le tre industrie automobilistiche: General Motors, Ford e Chrysler e spinse sulla Fed perché cominciasse a stampare migliaia di miliardi di dollari per inondare il mercato di liquidità, in modo da sostituirla a quella che le banche non avevano più.
In tal modo, gli Usa hanno superato rapidamente la crisi, le banche sono ritornate di nuovo sul mercato, le tre aziende automobilistiche in proprietà degli azionisti, sono stati creati quindici milioni di posti di lavoro e il Pil cresce più del 3% annuo.
In questo quadro, la Fed ha aumentato in un anno il tasso portandolo all’1,5% e vi è la previsione che nel 2018 vi saranno ancora tre aumenti di 0,25 cadauno per portare alla fine dell’anno il tasso sopra il 2%.
La Bce non ha avuto la stessa capacità della Fed, ma Mario Draghi, forzando i refrattari, è riuscito a mettere in atto il Quantitative easing e cioè l’acquisto di bond statali dei propri membri per 60 miliardi al mese con un massimo di 1.800 miliardi di euro.
Ha inoltre mantenuto l’Euribor a zero, per spingere un ritorno a consumi ed investimenti, ma penalizzando fortemente i risparmiatori.
Da gennaio il Qe sarà dimezzato a trenta miliardi al mese, fino a settembre. Però, i tassi continuano a restare a zero, anche perché i consumi aumentano poco e soprattutto l’inflazione stenta a raggiungere il suo livello fisiologico del 2%.
Che fanno due dei tre attori (Renzi e Di Maio) di fronte a questo scenario? Si battibeccano come due modesti galli in un illusorio pollaio, facendo a gara a chi le spara più grosse.
Di Maio prima dice: “Dobbiamo uscire dall’euro”. Poi rettifica la sparata: “Solo se costretti e costretti se l’Ue non accoglie le nostre richieste”. Renzi risponde: “Mai uscire dall’Ue”.
 
Il segretario del Pd, quando era presidente del Consiglio, diceva che bisognava andare a Bruxelles sbattendo i pugni sul tavolo, minacciando il veto ad ogni pié sospinto. Insomma, un ping pong fuori dalla realtà.
Ma un’altra questione hanno sollevato i due contendenti: Di Maio quello di revisionare le pensioni ricalcolandole col metodo contributivo e non retributivo, per i vitalizi superiori ai tremila euro al mese, con ciò recuperando dodici miliardi. Renzi risponde che si tratta di “Piano folle, da dilettanti allo sbaraglio”.
Doveva essere più riflessivo perché l’idea di fondo di Di Maio è eticamente giusta. infatti è intollerabile che vi siano italiani che percepiscono assegni pensionistici di importo nettamente superiore a quello a cui avrebbero diritto in base ai contributi versati, attingendo alla fiscalità generale.
Ricordiamo che il Presidente Inps Tito Boeri ha detto che ricalcolando tutte le pensioni con metodo contributivo, l’Istituto risparmierebbe 40 miliardi.
Dunque, balle, balle e balle. Solo ragionando con la propria testa gli italiani possono capire dove si trovi la verità e votare di conseguenza, non astenersi.

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