La Sicilia consumata dall'inefficienza - QdS

La Sicilia consumata dall’inefficienza

Rosario Battiato

La Sicilia consumata dall’inefficienza

venerdì 29 Dicembre 2017

Ispra: lo scriteriato utilizzo di suolo accresce i pericoli per il territorio, minando la sicurezza dei cittadini. Centinaia i siti a rischio dissesto: colpa di abusivismo, Prg vecchi e scarsi investimenti

PALERMO – Il consumo di suolo, riporta l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), determina la “trasformazione di superfici originariamente agricole, naturali o seminaturali in aree a copertura artificiale a seguito dell’occupazione da parte di edifici, fabbricati, infrastrutture e altre aree impermeabilizzate, non necessariamente in area urbana”.
Il suolo è una risorsa limitata e non rinnovabile e l’aggressione del cemento ne limita le potenzialità, anche in termini di difesa dal dissesto, e ne abbatte il valore economico, misurabile nella perdita dei servizi eco-sistemici. Questi ultimi, tra le altre cose, riguardano le risorse materiali di approvvigionamento, come la legna, la regolazione del territorio e il riferimento culturale ed estetico.
Una situazione che interessa tutta la nostra Penisola, ma che in Sicilia raggiunge spesso il suo apice, traducendosi – come accaduto nel recente passato – in eventi che minacciano la sicurezza di cose e persone.
Giusto per farsi un’idea, è sufficiente evidenziare come i nove Capoluoghi dell’Isola abbiano perso circa 10 milioni di euro negli ultimi cinque anni e siano riusciti a spendere soltanto un terzo dei 100 milioni di euro stanziati dal ministero nei vari programmi di finanziamento degli interventi per mitigare il rischio idrogeologico.
Tutti i numeri del fenomeno sono stati raccolti dall’Ispra nel capitolo relativo al suolo e al territorio dell’edizione 2017 del rapporto Qualità dell’ambiente urbano.
 
1. Terreno impermealizzato ed eventi atmosferici fatali
 
Il consumo di suolo incontrollato risulta tra le principali cause del dissesto idrogeologico, perché impermeabilizza il terreno e lo rende più vulnerabile agli eventi atmosferici, in particolare a quelli più violenti.
Un’evidenza che però, nonostante sarebbe logico il contrario, non sembra preoccupare più di tanto i Comuni capoluogo siciliani. Nel 2016, infatti, il consumo di suolo nelle aree urbane dell’Isola è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente, a esclusione di qualche timido avanzamento a Messina, Agrigento, Enna e Catania (+0,1%). Nel complesso resta comunque elevata la stima della percentuale di suolo consumato sul totale delle aree comunali, che vede Palermo (39,5%) tra i primi posti nazionali e sul podio del Meridione, dopo Napoli (62,5%) e Bari (42,1%).
Il dato del capoluogo siciliano in valore assoluto, pari a oltre 6 mila ettari di superficie consumata nel corso dell’anno 2016, è tra i dieci più elevati d’Italia. A distanza si colloca la seconda delle siciliane che è Catania, con 5.138 ettari, e una percentuale di suolo consumato che si ferma a 28,3%.
Tra le restanti realtà siciliane spiccano anche Trapani (4,50 mq/ab/anno) e Ragusa (2,11 mq/ab/anno) per un consumo di suolo pro-capite nelle aree urbane che è risultato essere tra i più elevati d’Italia.
 
2. Tra scuole e beni culturali più di 350 siti in pericolo
 
Per comprendere un po’ meglio lo stato di rischio in cui attualmente versa gran parte del territorio siciliano, soprattutto nell’ambito dell’assetto viario, bisogna riprendere alcune considerazioni fatte di recente dalla Protezione civile e riportate all’interno di un report dedicato al rischio idraulico. All’interno di questo documento si trova il censimento dei cosiddetti “nodi”, cioè le “intersezioni tra viabilità e corsi d’acqua” e “qualsivoglia situazione per la quale sia temibile una situazione di potenziale rischio relativa all’interferenza tra acque superficiali ed elementi antropici”. Nell’Isola ce ne sono circa 13 mila, tra cui ben 12 mila a rischio potenziale.
A riempire ulteriormente il quadro del rischio isolano ci hanno pensato i dati diffusi da Anci (l’associazione che raggruppa i rappresentanti dei Comuni), Ispra e Istat, che hanno registrato la presenza di 258 kmq di territorio nella fascia di rischio più elevato della pericolosità idraulica, circa l’1% del territorio regionale. In questa area si trovano 42 scuole, 56 beni culturali e oltre 20 mila persone. Negli altri due livelli del rischio ci sono 847 kmq, più di cento scuole, 120 beni culturali e oltre 60 mila persone. Solo per ciò che concerne i primi tre livelli di rischio, dunque, si arriva a circa 350 zone a rischio.
La pericolosità da frana coinvolge cinque livelli di rischio per 1.400 kmq e oltre 5 mila imprese, 662 beni culturali e circa 100 mila persone.
 
3. Per i fondi sono già attivi tre filoni di finanziamento
 
Sono decenni che si lavora sul fronte della mitigazione del rischio idrogeologico, tuttavia c’è ancora molto da spendere. L’Ispra ha registrato gli importi erogati dal ministero dell’Ambiente per la realizzazione degli interventi urgenti per la mitigazione del rischio idrogeologico dal 1999 al 2016. L’analisi si è svolta sulla base di tre filoni di finanziamento: Programmi e piani ex dl 180/98 (1999-2008), Accordi di programma Mattm-Regioni 2010-2011 e Piano stralcio aree metropolitane del 15 settembre del 2015 che durerà fino al 2020.
Gli interventi complessivamente assegnati ai nove Comuni capoluogo sono 35, pari al 9% di quelli che interessano il territorio nazionale, per circa 102 milioni di euro. Essi corrispondono a poco meno del 7% del totale dei milioni di euro distribuiti tra tutti i comuni capoluogo. Una percentuale che deve senza dubbio essere incrementata da qui ai prossimi anni. Entrando maggiormente nel detteglio, a guidare la graduatoria siciliana è Messina, con 12 interventi e 41,67 milioni di euro, che risulta essere anche uno dei comuni maggiormente coinvolti dal pericolo. Seguono Palermo, con 17,71 milioni, e Trapani con 15,8.
Ancora nessun intervento isolano è stato inserito nella griglia che riguarda il Piano stralcio aree metropolitane che attualmente ha visto 31 interventi per 797 milioni di euro.
 
4. Spesi soltanto 27 mln di euro sui 102 attualmente stanziati
 
Qual è il quadro siciliano dei lavori sul territorio avviati per la mitigazione del dissesto idrogeologico? Tentiamo di fare un breve, ma per quanto possibile esaustivo, quadro della situazione, anche tenendo in considerazione quanto illustrato negli approfondimenti precedenti.
Gli interventi conclusi sono appena 17, cioè meno della metà dei 35 complessivamente previsti nella programmazione del ministero competente per la riduzione del rischio. La spesa degli interventi conclusi ammonta, allo stato attuale, a circa 27 milioni di euro, cioè all’incirca un quarto rispetto ai 102 milioni stanziati. Ben quattro sono quelli ancora da avviare: circa 28 milioni di euro distribuiti tra Messina (2 interventi, 25,27 milioni), Palermo e Agrigento, con uno a testa. Poi ci sono altri cinque interventi ancora fermi alla fase di progettazione per circa 22 milioni di euro tra Trapani (3), Ragusa (1) e Siracusa (1).
Un blocco più sostanzioso si rintraccia all’interno di quelli in esecuzione. In questo contesto si trovano ben nove interventi, che valgono complessivamente 25 milioni di euro. Tra i finanziamenti per tipologia di dissesto, una particolare attenzione è prestata all’alluvione, che in Sicilia ha visto ben 11 interventi, con il massimo coinvolgimento di Messina (8 interventi, per circa 10 milioni di euro).
 
5. Aggiornamenti più rapidi per i Piani regolatori generali
 
Nella maggior parte dei casi i Piani regolatori generali dei Comuni sono stati gestiti come inutili orpelli da parte delle Amministrazioni isolane, al punto che sono pochissime quelle che li hanno aggiornati in tempi recenti. Eppure, questi strumenti urbanistici costituiscono un elemento determinante per proteggere il territorio dagli abusi o dalle costruzioni in aree con vincoli di inedificabilità.
Giusto per fare un esempio, è possibile raccontare quanto accaduto a Enna, dove ci sono voluti più di trent’anni per approvare lo strumento urbanistico in questione. Soltanto all’inizio di dicembre, infatti, la città ha visto l’adozione del nuovo Prg da parte del commissario straordinario inviato dalla Regione. L’iter, però, non può dirsi del tutto concluso. Bisognerà ancora attendere i piani attuativi e le eventuali osservazioni che potranno essere presentate in seguito alla pubblicazione sull’albo.
Per tutti gli altri è ancora notte fonda. Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando (che riveste anche il ruolo di presidente AnciSicilia), circa una settimana fa ha inserito il Prg tra le priorità dell’Amministrazione del capoluogo isolano per il 2018, ma nel complesso tutti i Piani regolatori dei Comuni capoluogo sono antecedenti al 2010. Quello di Catania, per esempio, risale addirittura al 1969, anche se ha visto diverse varianti (l’ultima nel novembre del 2015).
 
6. Emergenze affrontate solo con l’improvvisazione
 
Fin qui abbiamo raccontato cosa si stia facendo sul fronte della prevenzione. Ma come ormai i siciliani hanno capito, questi atteggiamenti poco prudenti danno periodicamente vita a emergenze che, in molti casi, non vengono affrontate come prevede la legge.
I Comuni isolani, infatti, si confermano in ritardo sul duplice fronte della prevenzione e della gestione dell’emergenza. Se nel primo caso è ancora bassa la percentuale degli interventi conclusi sul territorio per la mitigazione del rischio idrogeologico (la media è di un intervento portato a termine ogni due), sul secondo fronte restano ancora pochissimi gli Enti locali che rispettano la legge n. 100 del 2012, che prevedeva la redazione dei Piani comunali di emergenza entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, predisponendone, inoltre, un aggiornamento periodico.
Soltanto 190 Comuni sui 390 presenti in tutta l’Isola hanno approvato questo importante documento, cioè meno del 50%. Impietoso, inoltre, il confronto col resto d’Italia, dove la media è di quasi 9 su 10 (86% il dato aggiornato dalla Protezione civile nazionale lo scorso ottobre). Eppure si tratta di uno strumento essenziale che racchiude l’insieme delle “procedure operative di intervento – si legge sul sito del Dipartimento della Protezione civile – per fronteggiare una qualsiasi calamità attesa in un determinato territorio”.
 

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