Sanità, concorrenza pubblica e privata - QdS

Sanità, concorrenza pubblica e privata

Carlo Alberto Tregua

Sanità, concorrenza pubblica e privata

mercoledì 21 Febbraio 2018

Ai cittadini i servizi migliori

L’articolo 33 della Costituzione prevede che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Quindi, nella scuola e nell’Università è consentita l’istruzione che mette in concorrenza il servizio pubblico con quello privato.
Concorrenza significa una gara leale fra diversi competitori, i quali devono industriarsi per avere la migliore organizzazione possibile, tendente a produrre beni e servizi di migliore qualità e a prezzi più bassi.
Quando manca la concorrenza, quando i soggetti agiscono in regime di monopolio od oligopolio, viene meno lo stimolo a migliorarsi, con la conseguenza che beni e servizi perdono qualità e costano di più.
Ecco perché i nostri padri costituenti hanno ritenuto opportuno mettere in concorrenza la scuola pubblica e quella privata, seppure quest’ultima senza oneri per lo Stato.
 
L’articolo 32 della Costituzione, invece, non prevede l’istituzione del servizio sanitario a carico della Repubblica, come nel caso della scuola, e lascia alle leggi ordinarie l’organizzazione relativa.
Che cosa è accaduto nel dopoguerra? Che politici di scarso livello hanno pensato bene di allargare le maglie della Pubblica amministrazione anche alla sanità, non già per fornire migliori servizi ai malati, quanto per crearsi enormi serbatoi ove potere inviare i propri raccomandati, prescindendo dalla necessità di produrre servizi della migliore qualità possibile.
La sanità privata si è organizzata e ha creato catene di ospedali e cliniche che accolgono i malati a pari condizioni degli ospedali pubblici, purché siano convenzionati.
Però, nel settore sanitario non vige il principio della concorrenza richiamato prima, secondo cui ogni operatore deve organizzarsi al meglio per prestare i servizi più efficienti e a prezzi più bassi.
Per quanto riguarda questi ultimi, è stato pubblicato il prezziario delle prestazioni, secondo cui il Drg (Diagnosis-related group, in italiano Raggruppamento omogeneo di diagnosi), uguale per il settore pubblico e per quello privato, costituisce la fattura che lo Stato paga a chi presta servizi sanitari.
 
Per il 2017, la Legge di Bilancio ha previsto uno stanziamento di 113 miliardi (in Sicilia è inoltre prevista una quota di compartecipazione regionale), importo che viene corrisposto alle Asp e ospedali pubblici, nonché alle strutture private accreditate, quelle che vengono citate come convenzionate. Per essere accreditate, le strutture private devono rispettare requisiti organizzativi, strutturali, tecnologici e standard qualitativi che sono oggetto di controlli continui.
Quindi, le strutture private sono sullo stesso piano di quelle pubbliche, ma non sempre tali controlli rigorosi sono effettuati anche su strutture pubbliche.
In teoria, quindi, sanità pubblica e privata sono in concorrenza, ma nella pratica questo non è vero, perché le Aziende ospedaliere e le Asp che gestiscono i Presidi ospedalieri, quando vanno in perdita chiedono aiuto alla loro Regione. Mentre se una struttura privata va in perdita porta i libri in Tribunale.
 
Il buco nelle strutture pubbliche è una palese violazione della concorrenza, perché i due soggetti non sono tenuti sullo stesso piano, con la conseguenza che quello pubblico può giocare la partita con le carte truccate.
Vero è che sono intervenute leggi restrittive per obbligare i direttori generali a redigere bilanci rigorosi. è anche vero che molti di tali direttori generali hanno competenze e capacità che non hanno nulla da invidiare a quelli delle strutture private. Ma non è così in tutti i casi, perché i circa 800 direttori generali dell’Albo, quindi abilitati a essere nominati, sono chiamati per ragioni diverse e in qualche caso per ragioni clientelari.
In un regime di vera concorrenza, il settore pubblico e quello privato dovrebbero essere totalmente separati, mentre c’è un cordone ombelicale che consente a tanti medici ospedalieri di esercitare l’attività privata: questo non è equo.
In questo quadro, non si capisce perché la Regione siciliana, sui circa 9 miliardi che spende ogni anno per la sanità, mette un tetto agli ospedali convenzionati, mentre si dovrebbe limitare a pagare i Drg da chiunque prodotti. Inoltre dovrebbe mettere in campo squadre di controllori rigorosi e integerrimi per valutare la qualità dei servizi prestati. Far di tutto per tutelare i malati.

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