In Sicilia si vive meno e peggio, Caltanissetta fanalino di coda - QdS

In Sicilia si vive meno e peggio, Caltanissetta fanalino di coda

Serena Giovanna Grasso

In Sicilia si vive meno e peggio, Caltanissetta fanalino di coda

venerdì 23 Febbraio 2018

L’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane stima in 81,8 anni la speranza di vita alla nascita nell’Isola (ovvero 1,6 anni in meno rispetto alla media nazionale), fa peggio solo la Campania (81,06). Al di quà dello Stretto ancora in troppi rinunciano a sottoporsi alle cure (1,3 mln di abitanti)

PALERMO – I fattori principali delle disuguaglianze in materia di salute sono legati al contesto e agli individui. I primi si riferiscono alle risorse a disposizione del Servizi sanitario nazionale, la sua organizzazione ed efficacia; altri fattori possono essere riscontrabili nel contesto di vita, per esempio il livello di deprivazione, il grado di urbanizzazione e il capitale sociale del territorio di residenza. I fattori individuali sono sia di natura biologica, come il genere, l’età e patrimonio genetico, sia di natura socioeconomica, legati al titolo di studio, alla condizione professionale e al livello di reddito.
 
Notevoli e radicate sono le disuguaglianze rilevate nel nostro Paese dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane. Sensibili divari territoriali caratterizzano le speranze di vita alla nascita. La maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6 (si attesta a 83,4 l’aspettativa di vita media); decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne (in media pari a 81,95).
In particolare, in Sicilia la speranza di vita alla nascita si attesta complessivamente a 81,8 anni, lievemente inferiore rispetto al valore medio osservato nel Mezzogiorno (81,95) e a quello rilevato nelle Isole (82,04). Insieme alla Sicilia, Campania (81,06), Calabria (82,29), Sardegna (82,64), Molise (82,59), Basilicata (82,43), Lazio (82,65), Valle d’Aosta (81,87) e Piemonte (82,62) rilevano valori inferiori rispetto alla media nazionale di 82,75 anni.
 
Campania, Calabria e Sicilia peggiorano addirittura la loro posizione nel corso degli anni. Al contrario, quasi tutte le regioni del Nord, insieme ad Abruzzo e Puglia, sperimentano un’aspettativa di vita al di sopra della media nazionale.
Le province maggiormente svantaggiate sono Caserta e Napoli che hanno una speranza di vita di oltre due anni inferiore a quella nazionale (rispettivamente pari a 80,65 e 80,68), seguite da Caltanissetta e Siracusa che presentano uno svantaggio di sopravvivenza di 1,6 e 1,4 anni rispettivamente (in ordine 81,13 e 81,4). Le province più longeve sono quelle di Firenze con 84,1 anni di aspettativa di vita, ovvero 1,3 anni in più della media nazionale, seguite da Monza e Treviso con poco più di un anno di vantaggio (rispettivamente 83,92 e 83,86).
 
Alle disuguaglianze di salute si affiancano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica, si tratta delle rinunce da parte dei cittadini alle cure o prestazioni sanitarie a causa dell’impossibilità di sostenere i costi per la prestazione o a causa degli elevati tempi di attesa. Secondo i dati Censis, a contraddistinguere l’Isola sono gli elevati tempi di attesa necessari ad espletare le prestazioni sanitarie: in media di parla di 67,68 giorni, il terzo valore più elevato su scala nazionale. Tempi più lunghi solo in Campania (70,04 giorni) e Lazio (82,54 giorni).
 
Tempi così esageratamente lunghi obbligano i siciliani a ricorrere alla sanità privata. Nel 2016 la spesa sanitaria privata italiana per cittadino è stata mediamente pari a 580 euro. Di tale importo, un valore medio di 503 euro pro capite è stato finanziato direttamente di tasca propria dai cittadini, mentre un ammontare medio di 77 euro pro capite è stato rimborsato da forme sanitarie integrative. Profonde differenze caratterizzano le aree territoriali: Lombardia, Veneto, Provincia autonoma di Trento e Bolzano sono le regioni in cui si spende di più (oltre 700 euro per la spesa sanitaria privata); mentre Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata e Sardegna sono le regioni in cui si spende di meno (dai 400 euro in giù).
 
Una minore spesa privata al Sud non significa di certo maggiore efficienza dei servizi, al contrario è influenzata dal prodotto interno lordo estremamente più contenuto e dunque dall’indisponibilità economica a sopperire alle insufficienze pubbliche. Nel 2017 sono stati 1,3 milioni i siciliani che hanno rinunciato alle cure (ovvero il 26% dei siciliani).

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