Il biogas italiano studiato in Usa, solo in Sicilia resta sconosciuto - QdS

Il biogas italiano studiato in Usa, solo in Sicilia resta sconosciuto

Rosario Battiato

Il biogas italiano studiato in Usa, solo in Sicilia resta sconosciuto

mercoledì 28 Febbraio 2018

Dalla Michigan University l’analisi sul modello del “biogas fatto bene” per ridurre le emissioni. Nell’Isola scarsa presenza di impianti nonostante le grandi potenzialità del territorio

PALERMO – Il modello italiano di biogas è riconosciuto in tutto il mondo, ma non in Sicilia. L’eccellenza del cosiddetto “biogas fatto bene”, cioè “biogas done right”, il sistema diffuso ormai da anni dal Consorzio italiano biogas, è stata intercettata anche dal gruppo di ricerca internazionale coordinato dal professor Bruce Dale della Michigan University, già consulente del governo Usa.
 
Il progetto si presta infatti alle necessità di riduzione delle emissioni in rapporto alla produzione energetica rinnovabile e valorizzazione del comparto agricolo. Il gruppo di lavoro ha stimato, ad esempio, che l’Argentina potrebbe sostituire completamente le importazioni di gas naturale con biogas prodotto con il metodo italiano.
 
Negli Stati Uniti, inoltre, le potenzialità del “biogasfattobene” potrebbero superare del 20% quelle del gas di origine fossile. Un modello da esportare, ma anche da diffondere in casa. Per l’Italia il gas rinnovabile è un elemento determinante per raggiungere gli obiettivi imposti dagli Accordi di Parigi e per puntare all’obiettivo per il 2050 di un’economia a emissioni zero. Il Cib ha stimato che l’Italia potrebbe raggiungere una produzione di 10 miliardi di m3 di biometano al 2030, di cui almeno 8 da matrici agricole pari a circa il 15% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale e ai due terzi della potenzialità di stoccaggio della rete nazionale.
 
Anche la società di consulenza ambientale Althesis prende spunto da questi numeri per ipotizzare uno scenario al 2050, quando un potenziamento della produzione di biometano potrebbe evitare emissioni di CO2 per 197 milioni di tonnellate.
 
Non solo ambiente, ma anche economia. La filiera del settore, che è straordinariamente in crescita, potrebbe definire, già entro il 2030, oltre 21mila posti di lavoro e generare un gettito tributario di 16 miliardi tra imposte sulle imprese e fiscalità di salari e stipendi. Il prospetto complessivo è particolarmente interessante: nel giro di poco più di dieci anni le ricadute economiche complessive potrebbero arrivare a 85,8 miliardi, di cui 17,7 miliardi nell’uso elettrico, 15 miliardi nel settore dei trasporti e 53,1 miliardi grazie all’immissione nella rete.
 
Allo stato dei fatti gli impianti a biogas, il combustibile che si produce durante la fermentazione di materiale organico in assenza di ossigeno, possono essere considerati come il cuore della rivoluzione verde.
 
Lo scorso dicembre, a Catania, sono stati presentati i risultati del progetto di ricerca “Innovazioni per lo sviluppo del biometano da matrici mediterranee (Inno-Biomed)”, finanziato dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, e nel corso dell’evento si è sottolineato come siano stati già generati oltre 1.300 impianti agricoli nel nord Italia, 4 miliardi di investimenti e oltre 10 mila occupati.
Per la Sicilia i tempi non sono ancora maturi, nonostante il grande potenziale di scarti agricoli e forestali. Soltanto tre impianti a fronte di un territorio che potrebbe fornire grandi risorse, al punto che per l’area del centro-sud si prevede un potenziale produttivo di biometano al 2030 in 3 miliardi di metri cubi e corrisponderebbe a un aumento del Pil dello 0,3%.
 
La Regione sembra comunque volerci puntare, infatti le linee guida della nuova programmazione Ue prevedono investimenti per lo sviluppo di piccoli impianti per la produzione di energia da biomassa.
“Il biogas non è una bioenergia come le altre – ha spiegato Piero Gattoni, presidente del Cib, Consorzio Italiano Biogas – in quanto, se ‘fatto bene’, non solo produce energia rinnovabile e programmabile, ma diventa anche uno strumento essenziale per decarbonizzare le pratiche agricole correnti, rendendo concreta la prospettiva di un’agricoltura carbon negative”.

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