Brexit, Trump, Tsipras, Macron, Di Maio - QdS

Brexit, Trump, Tsipras, Macron, Di Maio

Carlo Alberto Tregua

Brexit, Trump, Tsipras, Macron, Di Maio

mercoledì 07 Marzo 2018

La pancia del popolo ha deciso

Winston Churchill (1874 – 1965) vinse la guerra e dopo perse le elezioni. L’umore del popolo non è facilmente decifrabile e non sempre vota secondo l’interesse generale. è il caso del referendum sull’uscita della GB dall’Ue, promosso dal primo ministro conservatore David Cameron, sicuro di un responso negativo. Non tenne conto che la pancia del popolo (in odio a quella classe politica al potere), cioè la fascia più bassa della piramide sociale, dotata normalmente di una cultura limitata, decide in modo umorale.
Cosicché seppur per poco, il Sì all’uscita vinse. E siccome quei governanti sono persone serie, Cameron si dimise e il partito conservatore elesse in immediata successione Teresa May, la quale sta trattando con l’Ue perché il 29 marzo 2019 il divorzio diventi esecutivo.
Donald Trump è stato eletto 45° Presidente degli Stati Uniti dalla minoranza degli americani, ma dalla maggioranza dei delegati. Ciò perché in quel Paese l’elezione avviene a due livelli. Anche in quel caso il popolo ha votato contro l’establishment, contro i soliti noti, di cui Illary Rodham Clinton era l’emblema, dando i suffragi a un uomo che ha parlato direttamente al popolo.
 
In Francia, il 7 maggio del 2017 gli elettori hanno demolito il vecchio sistema dei partiti, dai repubblicani ai socialisti, e hanno eletto un giovane Presidente della Repubblica di 39 anni, Emmanuel Macron, nonostante tutti i pronostici avversi. Anche in quel caso il popolo ha vinto contro un sistema di partiti ormai in decomposizione.
Vi è però da precisare che questo è avvenuto perché la legge elettorale francese a due turni, voluta dal generale Charles De Gaulle nel 1962 con la riforma costituzionale, consente sin da allora al Paese transalpino di avere il Presidente della Repubblica la sera delle elezioni del secondo turno.
In questa carrellata vogliamo indicare il caso della Grecia, dove quell’intelligente politico Alexīs Tsipras si presentò al popolo come colui che andava contro tutti (i partiti, le cariatidi politiche, l’Unione europea).
Eletto con una forte maggioranza, poi ha fatto quelle indispensabili riforme impostegli dalla Troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Ue ) che hanno rimesso in carreggiata il Paese ellenico con una crescita del Pil 2017 (1,7%) superiore a quella dell’Italia (1,5%).
 
Con le scorse elezioni del 4 marzo, il popolo, soprattutto quello del Sud, si è ribellato ai partitocrati di qualunque colore e ha dato un consenso grande al nuovo, cioè al Movimento 5 Stelle. Il voto, secondo noi, non è stato pro Movimento, bensì contro tutti i vecchi parrucconi che hanno avuto ancora la faccia di bronzo di presentarsi ai candidati: da Berlusconi a D’Alema, da Bersani a Casini e a tanti altri che avevano solo l’obiettivo di ritornare in Parlamento per continuare a servire se stessi e i loro amici e non la Nazione.
Cosicché un terzo degli elettori ha dato il proprio consenso a Luigi Di Maio, un volto pulito, che ha basato la sua campagna elettorale sul taglio dei privilegi, la rinunzia a parte dei propri emolumenti, la riforma della Pa e il reddito di cittadinanza.
Seppure quest’ultimo sia un’utopia, ha colpito quella massa di cittadini che ha poca voglia di lavorare e che si accontenta di un piccolo assegno.
Il popolo ha anche premiato Matteo Salvini che rappresenta una cesura col vecchio establishment.
 
Nel Lazio, il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, ha fatto un dispetto a Stefano Parisi, non inserendosi nella coalizione di Centrodestra. Se lo avesse fatto, Parisi sarebbe diventato presidente della Regione, battendo Zingaretti di due punti. Si sa che spesso il marito, per fare un dispetto alla moglie, si evira.
Lo sguardo sulla geografia politica conseguente alle elezioni ci conferma che le regioni ricche hanno votato per la conservazione. è ovvio perché continuano a ricevere trasferimenti dallo Stato ben superiori a quelli che vanno alle regioni povere, le quali, appunto, hanno invece voluto dare una svolta premiando il M5S che rappresenta la protesta e anche la speranza di un profondo cambiamento di linea del governo nazionale.
Tuttavia, riteniamo che questa speranza non abbia molte probabilità di concretizzarsi, perché Di Maio ha taciuto la Questione meridionale in tutta la campagna elettorale.
Lo scenario prossimo venturo è incerto. L’appuntamento, dal 23 in avanti per le elezioni dei presidenti delle Camere indicherà la rotta.
Mala tempora currunt.

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