Contratto di lavoro dei medici? Otto anni di attesa per il nulla - QdS

Contratto di lavoro dei medici? Otto anni di attesa per il nulla

Redazione in collaborazione con Cimo

Contratto di lavoro dei medici? Otto anni di attesa per il nulla

venerdì 09 Marzo 2018

L’accordo mette sullo stesso piano un cardiochirurgo e qualsiasi altro dipendente della Pa

Dopo nove anni di mancati rinnovi contrattuali, l’avvicinarsi della tornata elettorale ha indotto il Governo ad avviare e concludere gli accordi sulle ipotesi di Ccnl dei Comparti delle aree centrali, regioni-enti locali, scuola e sanità ricorrendo, nell’ultimo caso, anche alla presenza del ministro Madia pur di portare a casa un risultato giudicato non positivo da parte delle organizzazioni sindacali autonome.
Si è tentato di avviare anche il contratto della dirigenza medica e sanitaria attraverso due incontri che, tuttavia, non hanno portato ad alcun risultato per il semplice motivo che Aran non è mai stata in condizione di dirimere la preliminare questione del monte salari propedeutica all’applicazione degli incrementi contrattuali, gli 85 euro, già concordati tra Governo e Confederazioni Cgil, Cisl e Uil. Tale accordo ha messo sullo stesso piano il valore economico, ad esempio, di un neurochirurgo o un cardiochirurgo con qualsiasi altro dipendente della Pa.
 
Cimo si è trovata, quindi, di fronte ad un contratto politico, che per fortuna è stato sventato con la consapevolezza che occorre avviare con Aran un confronto di natura strettamente sindacale libero da ogni condizionamento esterno. Questo è il motivo per il quale ha rinviato, insieme alle altre sigle sindacali, lo sciopero nazionale pur mantenendo lo stato di agitazione con assunzione di determinazioni subito dopo l’incontro del 14 marzo 2018.
 
Partendo dagli aspetti normativi del contratto, Aran intende mutuare dal contratto del Comparto quanto già definito e sottoscritto dalle Confederazioni in tema di relazioni sindacali, orario di lavoro, permessi e congedi, mobilità, rapporto di lavoro, responsabilità disciplinare, ecc. anche attraverso l’istituzione di gruppi di approfondimento. Ovviamente quanto già concordato non ha mai visto partecipe i sindacati della dirigenza medica e sanitaria, ragion per cui la richiesta di Cimo è quella di ridiscutere il quadro normativo del contratto secondo le esigenze e le peculiarità della professione medica.
 
Ovviamente Cimo ha elaborato una propria piattaforma contrattuale su cui poter confrontarsi, partendo dalla consolidata esperienza negoziale di questi anni che ha visto proliferare il contenzioso tra medici dipendenti ed amministrazioni per effetto delle innumerevoli aberrazioni contenute nei precedenti contratti, spesso oggetto di errate interpretazioni o disapplicazioni o, addirittura, abusi da parte di alcune aziende.
 
Venendo, quindi, agli aspetti economici del nuovo contratto, la partita si è subito arenata sull’entità del finanziamento del contratto, partita giocata al rimpallo tra regioni e Governo con accuse reciproche su chi dovrà finanziare il contratto di lavoro.
Giova ricordare che nella ripartizione regionale del finanziamento del servizio sanitario nazionale sono ricompresi, oltre all’assistenza ospedaliera, territoriale, farmaceutica, ecc., anche i rinnovi contrattuali del personale sanitario. Quindi il rinnovo del contratto in sanità è già finanziato ed, allora, diventa incomprensibile questo rimpallo di responsabilità tra Governo e Regioni.
 
Infatti dall’analisi dei conti economici 2010-2015 emerge, con chiarezza, un incremento di circa 5,5 miliardi di euro del finanziamento ed un contestuale risparmio di circa 2,1 miliardi di euro del costo del personale. Al tempo stesso il conto annuale del Mef, relativo al periodo 2010-2016, conferma i risparmi regionali sul personale in linea con la riduzione del numero di medici di 6.724 unità (taglio di 2410 strutture complesse e 5.275 strutture semplici).
 
Ma quale è stata la proposta Aran?
Si parte da un monte salari calcolato su 71.500 euro procapite (media pesata per professioni) e si applicano i seguenti incrementi: 0,3% per il 2016, 1,45% per il 2017 e si arriva a regime del 3,48% a decorrere dal luglio del 2018. In sintesi trattasi di un incremento mensile di 190 euro circa a decorrere dal 2019 di cui solo il 70% andrà sul tabellare.
 
Nulla di nuovo sulla richiesta dei sindacati di aggiungere al monte salari l’indennità di esclusività di rapporto come nulla di nuovo sulla ufficializzazione dell’atto di indirizzo, strumento necessario ad avviare la trattativa per il rinnovo del contratto.
 
Ricordo che la perdita di potere di acquisto dei colleghi avviene per due ordini di motivi: la perdita del valore di acquisto a decorrere dal 2010 rispetto al tasso di inflazione, stimabile nella misura di 3.275 euro procapite (circa 250 euro/mese) e la perdita derivante dai “furti” delle regioni e delle aziende sui fondi contrattuali stimabile nella misura di 3.402 euro circa (circa 261 euro/mese). In sintesi la perdita economica è nettamente superiore agli incrementi contrattuali proposti in sede Aran.
 
Quindi otto anni di attesa per il nulla e, dopo la drastica cura dimagrante a danno delle strutture ospedaliere, dopo l’enunciazione di un piano delle cronicità non operativo perché non finanziato, dopo l’aumento esponenziale dell’out of pocket a danno dei cittadini, dopo la progressiva riduzione dell’offerta sanitaria nei presidi ospedalieri e negli ambulatori, eccoci arrivati all’ultimo stadio di un disegno perverso: demotivare il personale sanitario per aprire definitivamente la strada alla sanità privata.
 
Cimo non starà certo a guardare.
Ci piacerebbe immaginare che il 51% della rappresentatività intersindacale non sia disponibile a firmare eventuali Ccnl di lavoro in queste condizioni proprio per dare un forte segnale alla politica ed al futuro Governo ma non ci illudiamo affatto che ciò possa avvenire ed è questo il motivo per il quale crediamo che l’intersindacale non avrà lunga vita.
 
Intanto si continua a lavorare in pronto soccorso spesso fatiscenti dove il rischio di aggressione è elevato, si lavora in più presidi ospedalieri distanti anche decine di chilometri tra loro con rischi per la sicurezza delle cure, si sopravvive in condizioni organizzative di vero e proprio disagio ed in situazioni di grave carenza organica, ed è proprio per queste ragioni che i medici vorrebbero più rispetto dal proprio datore di lavoro che, invece, continua a lucrare sui risparmi derivanti dalla costante riduzione del costo del personale.
 
Guido Quici

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